CANE RANDAGIO Se mai ricorderai il mio viso, ricordati che ero un cane randagio, un adagio profondo fra i frutteti, gli ulivi e l'abbaiare dei contadini, vini profumati da pensieri solitari, che hanno fuggito le urla e la burla delle ipocrite città, delle velleità umane. Non so, forse sono pronto, forse lo spero, che un pero mi cada addosso o che il fosso, la terra e le tenebre siano più morbidi dei torbidi, duri, malanni dell'animo. Ho cercato, disperatamente, i cieli nascosti dalle grigie nuvole, mentre il vento suonava il suo eterno flauto e cauto fischiettavo l'Ave Maria di Schubert, appoggiato con i gomiti sui romiti silenzi del meriggio. E densi, inutili, stupendi mi son parsi i giorni dove ho parlato con il prato, con le betulle, candide fanciulle danzanti nei canti delle brezze di Maggio, dove un faggio, saggio maestro, mi ha insegnato che la grandezza di un albero deriva dalle sue radici. E con la mia bici ho pedalato vicino le nubi, e ho respirato, per pochi attimi, l'immensità. Se mai ricorderai il mio viso, ricorda che ho intriso il mio cuore nell'inchiostro, ne è uscito nero, un mostro ruggente, dolente, insaziabile, che ovunque ha posato il suo passo ha lasciato un'impronta oscura, che ho vissuto sottoterra, come un tasso, e sono quasi soffocato scavando come un pazzo per cercare un po' d aria per questi fragili occhi. Forse sono pronto, forse lo spero. Non mi importa che altri si ricordino di me. Non appena si aprirà la porta, il cancello, e sarà buio, fiamma o tersa benedizione, quando persa sarà la mia voce nella foce del tempo, nel suo pozzo infinito, il mio unico ed ardito pensiero è che tu, gemente, con una lacrima che ti solchi il viso come un aratro, semini in te un mio verso. Solo lì, solo lì, in quel momento, io sarò compiuto e dal baratro sboccerà la mia Poesia, e comprenderai che il mio amore aveva altra forma, quella del dolore.
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