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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Nicola Romano

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 03/05/2015 12:00:00

 

Continuiamo con la pubblicazione delle interviste ai primi tre autori classificati di entrambe le Sezioni (Poesia e Narrativa) del Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, I edizione 2015, allo scopo di farli conoscere, come persone e come autori, un poco oltre i loro testi che è possibile leggere qui: www.ebook-larecherche.it/ebook.asp?Id=180

 

L’autore qui intervistato è Nicola Romano, primo classificato nella Sezione A (Poesia) con le poesie raggruppate nel titolo: In sottrazione

 

Le interviste sono a cura della Redazione de LaRecherche.it e seguiranno cadenza settimanale secondo il seguente calendario di pubblicazione: Gianfranco Martana (pubblicato il 26/04/2015: leggi), Nicola Romano (03/05/2015), Mikol Fazio (10/05/2015: leggi), Emilio Capaccio (17/05/2015: leggi), Giulia Tubili (24/05/2015: leggi), Silvia Morotti (31/05/2015: leggi)

 

 *

 

Chi sei? Come ti presenteresti a chi non ti conosce?

 

Imbarazzante presentare se stessi, comunque per questo preciso contesto dico che sono del 1946, che “nel mezzo del cammin” ho incontrato la Poesia e da quel momento non l’ho più abbandonata, facendone anzi uno strumento di vita che, fra l’altro, mi ha permesso di conoscere tanta gente e di partecipare a diversi scambi culturali.

 

 

Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, e che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?

 

La formazione avviene evidentemente a seguito di tante letture, ognuna delle quali fa capire il diverso modo di tradurre le tematiche in risultanze poetiche. Volendo fare adesso una casistica di massima, devo dire che ho sempre prediletto i poeti meridionali, li ho “sentiti” maggiormente dentro di me, sarà per il colore/calore del linguaggio o forse per la maggiore “passionalità” che attiene agli scrittori del sud. E quindi, ho letto Alfonso Gatto, Vittorio Bodini, Leonardo Sinisgalli, Raffaele Carrieri, Lucio Piccolo, Bartolo Cattafi. Tenuti in buon conto i classici (Leopardi, Montale, Ungaretti, Quasimodo, ecc.) mi è sempre piaciuto cogliere tra le cosiddette “retrovie”, scoprendo voci che a mio parere nulla hanno da invidiare a quelli che la critica ufficiale ha ritenuto come “maggiori”, e inoltre ho molta simpatia per quei poeti non omologabili come, per esempio, Giorgio Caproni o Sandro Penna.

Comunque sia, l’essenziale è leggere tutti questi autori e dimenticarne le tracce, e forse questa necessaria “dimenticanza” ha influenzato la scrittura mia come quella di coloro i quali si sono dedicati convenientemente alle letture. Ma ancora adesso conservo molta curiosità, seguo la contemporaneità e soprattutto mi piace ascoltare i giovani e le loro eventuali proposte emergenti, anche se spesso non mi ritrovo nella poesia performativa o in quelle che sono le “installazioni vocali” che sviliscono la liricità della poesia.

 

 

Quale utilità e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?

 

Oggi lo scrittore ha un ruolo più importante e più delicato di ieri, dal momento che egli si dovrebbe fare carico d’interpretare questo nostro tempo e di rimettere insieme tutte quelle dispersioni che sono avvenute e che continuano ad avvenire in seno alla società civile e, inoltre, ribadire le storie e le condizioni per risistemare l’Uomo in quella centralità che gli appartiene. Ma per tutto questo trovo un po’ di pigrizia negli scrittori, che per ora amano rifugiarsi nel passato.

 

 

Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittore? Gli incontri importanti, le tue pubblicazioni.

 

Fin da giovane ho vissuto “in pectore” la poesia, ma non sapevo esprimerla. Le prime pulsioni interiori le ho ricevute attraverso i brani dei cantautori degli anni ’60, e precisamente dalla terna Sergio Endrigo-Gino Paoli-Luigi Tenco. Sicuramente cominciavano i primi innamoramenti, ma mi rendevo conto che una stessa cosa seppur detta con belle parole, espressa in maniera diversa dalla comune parlata conduceva verso dimensioni da sogno. Tale accumulo sentimentale ha fatto sì che la mano a un certo punto cercasse la penna per poter chiarire a me stesso, in buona sostanza, quel che succedeva dentro e, affascinato dalla Parola, superai anche gli esami alla Siae come “paroliere”. L’esercizio, a poco a poco, mi ha portato a confrontarmi con i vari aspetti della vita, e lo sprone a perseverare mi è stato dato dalla pubblicazione di una mia poesia sulla rubrica “Il Canzoniere” del «Giornale di Sicilia», ed eravamo a fine anni ’70.

L’incontro che mi fece però comprendere i risvolti “professionali” della poesia fu quello avuto con Lucio Zinna (poeta e critico di fama nazionale). Egli non m’insegnò a fare poesia (non si può insegnare!) ma, attraverso i discorsi improntati sulla sua maturata esperienza e sulla sua levatura letteraria, compresi che la dedizione alla poesia non può essere superficiale, disimpegnata o part-time, ma deve essere improntata essenzialmente sulle letture, sullo studio, sulla sperimentazione, sulla sofferenza e sull’onestà  espressiva. Lessi inizialmente T.S.Eliot,  Angelo Maria Ripellino, Lucio Piccolo – poeti suggeritimi da Zinna – e poi tanti altri che strada facendo mi incuriosirono e mi arricchirono.

La mia prima pubblicazione avvenne nel 1983, e ricordo che lo stesso Zinna, uno dei due presentatori, concluse la relazione dicendo: “Per altre prove, lo aspettiamo al varco”. Questa frase mi caricò di quella necessaria responsabilità che ho tenuto sempre presente, e così in maniera recidiva sono seguite altre pubblicazioni con libri, opuscoli e plaquette, cercando di mettere in atto quei doverosi e probabili affinamenti, frutto sempre di continue ricerche e di confronti.

 

 

Come avviene per te il processo creativo?

 

Difficile individuare il preciso percorso che porta alla stesura creativa d’un testo, perché molto appartiene al subconscio; di sicuro so che per scrivere devo essere investito da forti sensazioni non a livello di epidermide ma a livello viscerale. Alcune vibrazioni possono presentarsi a distanza di tempo da quando si è vissuto il particolare momento, e allora senti che urge qualcosa, che la pentola emette i primi bollori o che il bambino scalcia in grembo e quindi ti senti pronto ad affrontare una nuova “avventura”. E, come si sa, alla prima fase della poesia di getto che serve da fermo immagine, segue sempre quella adeguata rivisitazione per dare migliore forma ad un paradigma che alla fine potrà soddisfare o meno.

 

 

Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi con la tua scrittura?

 

Il primo vero obiettivo è quello di poter spiegare a me stesso quel che accade all’interno del mio “essere sensibile”, cercando di decrittare al meglio le sensazioni, le emozioni, gli stupori ed i risentimenti che a mano a mano inevitabilmente rumoreggiano. Certamente un poeta non funziona da agenzia spirituale per gli altri, ma se qualcuno s’identifica in un preciso dettato, allora la cosa procura tanto piacere.

Semmai, così come per ognuno di noi alla fine resterà probabilmente un album fotografico, alla stessa stregua si tratterà di lasciare un album di “pose interiori”.

 

 

Che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?

 

Avere una caratteristica o un proprio stilema sarebbe già un punto di arrivo. Rivolgere un certo occhio ai dettagli della quotidianità ed a quelle che sono le stizzose sbavature dei comportamenti umani e sociali ha sempre distinto, penso, la mia versificazione. Io non ho prodotto mai raccolte a tema, perché ritengo che l’unico tema possibile sia quello della persona che cammina e col bagaglio della sua anima si confronta con tutto ciò con cui viene a contatto. Ma a tale proposito, se penso che in occasione della mia prima raccolta (1983) Lucio Zinna ebbe a dire: “In alcune liriche, il quotidiano, intinto di lievi colorazioni romantiche, assurge a particolari rarefazioni…”, e se nella prefazione al mio ultimo libro (2011) Paolo Ruffilli dichiara che “ci si muove dentro la mitologia del quotidiano…”, ecco che questi due noti poeti mi hanno fatto capire che il mio percorso è stato abbastanza coerente nel tempo e, in buona sintesi, suscettibile di connotazione.

 

 

Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Come si è evoluta la tua scrittura dalle tue prime pubblicazioni?

 

Se devo dire la verità, non ho nessun tipo di “ossessione” se non quella di prendere atto che la poesia non è riuscita e non riesce a cambiare, non dico il mondo, ma i dintorni più immediati. Da trentacinque anni, sia come operatore culturale che come autore, ho sempre sperato che la bellezza e le energie benefiche della poesia potessero servire a migliorare le coscienze, invece è andata sempre peggio, con evidenti risultati al ribasso. Purtuttavia, dobbiamo restare custodi di tale sublime patrimonio.

Penso che dalle prime pubblicazioni un’evoluzione di metodo nella mia scrittura ci sia stata, se non altro nel modo di trasporre per immagini il magma dei pretesti interiori. Dapprima veniva fuori una certa ricercatezza che forse voleva sopperire ad una incompletezza degli strumenti a disposizione, ma poi è subentrata la consapevolezza che è più difficile fare poesia con un linguaggio lineare e coinvolgente.

 

 

Quale rapporto hai con la poesia e quale con la narrativa? Hai scritto sia in versi sia in prosa (racconti o romanzi)? Se la risposta è no, pensi che, un giorno, ti accosterai all'altro genere letterario?

 

Il mio rapporto con la poesia è vicendevole, non so chi dei due cerchi l’altro e comunque sia costituiamo ormai un’unione di fatto che riesce a motivare i miei giorni, specialmente da quando non ho più impegni di lavoro. A molti poeti succede di approdare poi alla prosa, ma sinceramente finora non ha avvertito questo richiamo, ho soltanto alcune pagine di storie familiari tramandatemi da mia madre e che voglio lasciare ai miei nipoti. Volendo fare un paragone con l’atletica, mi sento più uno sprinterista, forse non ho il fiato che occorre ad un mezzofondista.

 

 

Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?

 

Secondo me i luoghi influiscono e contaminano il sangue d’una scrittura, sia a livello linguistico che contenutistico. Tanto per esplicitare, alla casa di Pirandello (al “Caos” di Agrigento) su di un marmo si nota in rilievo una poesia del famoso drammaturgo, una poesia che è potuta nascere solo lì e che non si poteva rivelare in nessun altro luogo. Penso, quindi, che la mia Sicilia piena di calore, di sofferenza e di contraddizioni sia presente nella linfa che anima i miei versi, così come quelli di altri autori siciliani che vivono biologicamente quell’insularità che nel tempo è divenuta anche una distinguibile condizione di “mediterraneità”.

 

 

Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittore si trova a cavallo di due mondi?

 

Penso che sia stata sempre la realtà a dare gli stimoli all’immaginazione, non ci si può involare se non c’è una base da cui la fantasia possa spiccare il volo. Non è necessario estraniarsi a tutti i costi dalla realtà se in essa si possono cogliere senz’altro quegli elementi che condurranno sicuramente a particolari astrazioni. La forza d’uno scrittore sta, appunto, nel miscelare e nel ben dosare le due dimensioni.

 

 

Quali difficoltà hai incontrato nel pubblicare i tuoi testi?

 

Finchè ci si rivolge, pagando, ad un’editoria minore, non s’incontra alcuna difficoltà. I problemi cominciano allorquando si vorrebbe salire doverosamente qualche gradino pur sapendo che gli editori non scommettono per niente sulla poesia. Alcune medie editorie poi sono a compartimento stagno e, da quelli che sono i cataloghi facilmente consultabili, s’intuisce che vi si può accedere solo per conoscenze o raccomandazione. Ho sempre pubblicato con editori diversi, perché non esiste un solo motivo per legarsi a una casa editrice.

 

 

Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?

 

Evidentemente ci sono lettori palesi e lettori occulti. Poi ci sono i lettori del frammento (su riviste, sui network e sul web) e i lettori d’occasione. Con chi si palesa, di solito avviene un confortante scambio d’opinioni che alla fine ci fa sentire congruenti nello spirito e nel modo d’intendere la vita. Mi fa particolarmente piacere quando mi avvicina qualche giovane, poiché comprendo che nonostante la differenza di generazione ho trasmesso qualcosa di meditativo anche a loro.

 

 

“Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?

 

Io sono molto convinto su questo assunto, perché una volta che l’autore ha deliberato un suo testo sarà poi il lettore a farlo suo, a lavorarlo, a re-inventarlo sulla scorta del proprio bagaglio emozionale e culturale, allargandone eventualmente gli orizzonti. Un errore che ha fatto (e non so se continua a fare) la Scuola è stato quello di chiedere allo studente che cosa voleva dire l’autore, quando invece la domanda da porre sarebbe su cosa gli comunica l’autore! Insomma, per far funzionare un testo bisogna essere in due, autore e lettore, ritenendo normale il fatto che tra la stazione emittente e quella ricevente ci debbano essere per forza delle…interferenze.

 

 

Hai mai fatto interventi critici, hai scritto recensioni di opere di altri autori? Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura?

 

“Siamo preti e quindi diciamo Messa” diceva un’allegoria di Sinisgalli. Praticamente, facendo parte militante del consesso poetico, mi è capitato di redigere prefazioni, recensioni e presentazioni di libri, mettendo in campo quelle conoscenze che si acquisiscono col tempo. Faccio parte indegnamente anche di alcune Giurie di concorsi, e una certa esperienza ormai porta a valutare dei testi “ad odorato” (soprattutto i poesismi), mentre con altri testi devi penetrare la fase concettuale e tecnica per poter approdare a qualche convincimento. Confesso che per una completezza di giudizio, a volte adotto l’analisi del testo che rappresenta una cartina di tornasole per verificare il mestiere e lo spessore d’un progetto creativo.

 

 

In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?

 

Quella recente di Paolo Ruffilli che, come ho detto sopra, ha riscontrato nell’ultima mia raccolta una “mitologia del quotidiano”.

 

 

A cosa stai lavorando? A quando la tua prossima pubblicazione?

 

A distanza di quattro anni dall’ultima pubblicazione, sto lavorando ad una raccolta di circa sessanta poesie che ho già pronta, ma il lavoro di revisione che è in corso è peggiore del momento creativo, perché subentra la tentazione (o la necessità) di qualche variazione formale o perché in qualche tratto può cambiare il punto di osservazione, specialmente in quei testi scritti qualche anno addietro.

Penso che vedrà la luce alla fine di quest’anno o agli inizi del prossimo.

 

 

Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?

 

La “passione” della famiglia: tra moglie, figli e nipoti non intravedo benché minimi spiragli che mi possano condurre a momenti di noia.

 

 

Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale italiana?

 

Ho partecipato a “Il Giardino di Babuk” perché spinto dalla serietà e dalla professionalità della redazione de «La Recherche» nonché dalla qualificata consistenza della Giuria preposta. Io non son solito partecipare a concorsi di poesia, non mi piace fare il cavallo da corsa, partecipo ogni tanto per testare dei nuovi lavori e, comunque, sempre in ambiti attendibili dove non ci sia poesia come trastullo o vanagloria. I premi letterari hanno una loro validità se tendono a scoprire ed a proporre delle voci  interessanti o dei buoni poeti emergenti, in maniera che la nostra comunità culturale possa fruire di tali risorse ed arricchirsene. Spesso, diciamolo pure, taluni Premi tendono invece a dare visibilità agli organizzatori o ai politici che gli piombano addosso, indorando magari la manifestazione con un vincitore “di grido” e penalizzando così un eventuale emergente.

 

 

Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?

 

Bisogna continuare a trasmettere le proprie istanze poetiche, a farle veicolare, e il sito de «La Recherche» è molto indicato per accoglierle, perchè è frequentato da validi poeti e da gente esperta che sanno intervenire con competenza, con giuste motivazioni e con eventuali e garbati suggerimenti. Bisogna dare atto che la redazione ha saputo creare intorno a sé una robusta comunità letteraria.

Sull’editoria elettronica ho qualche perplessità, per formazione e per tradizione sono affezionato al corpo fisico del libro, alla sua tattilità ed al suo odore.

 

 

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?

 

Una domanda che mi si potrebbe fare è la seguente: “Ma in un periodo come questo che stiamo vivendo, improntato all’utilitarismo e al tornaconto, in cui il protagonismo deve essere raggiunto con ogni mezzo, a chi e a cosa serve la poesia?”. E la mia risposta rimarrebbe racchiusa dentro un lacrimoso silenzio.

 

 

Grazie Nicola

 


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