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La ballata della statua perduta

di Gabriella Amstici
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Pubblicato il 12/06/2013 16:31:00

Dal vecchio asse di legno marcito

è affiorata un’esile mano

che il tempo non ha mai scalfito.

 

Il pavimento dell’umido vano

ha nascosto quel gesso ingrigito

che per cinquant’anni ho calpestato.

 

L’orgoglio era stato forse sordo

e il dolore era stato muto,

ma è rimasto in me il ricordo

 

come il più triste che ho avuto.

Con quanto amore l’hai creata

quella grande angelica Madonna!

 

Rivivo l’emozione di me bambina

quando lei era stata plasmata.

Ammiravo, a mio papà vicina,

 

quel suo dolce bellissimo viso,

che di mamma aveva le sembianze

quando lei avesse sorriso.

 

Oh papà!

Che grande fatica hai sopportato,

com’erano attese le speranze

per l’immenso lavoro completato!

 

Se ti sfiniva l’immensa stanchezza

pensavi al premio da guadagnare,

nella folle e illusa certezza

 

che con l’arte potevi lavorare.

Quando la vincita ti spronava,

volevi coprire quella scultura

 

con il bronzo fuso che mal colava,

denso e bruciato per poca cura,

sul fragile gesso ancora bagnato.

 

Per premiare il più bravo scultore,

esposero le statue sul sagrato:

tra tutte la tua era la migliore.

 

Ma l’ultima scelta per l’alta colonna

fu di chi diede la benedizione

a un’altra più moderna Madonna

 

per denaro spinto in tentazione.

Fu omaggiato l’altrui successo

e ben ricompensato il vincitore,

 

mentre la tua misera statua di gesso

non poté avere destino peggiore.

La rabbia del pesane martello

 

colpì il capo reclinato

e il lungo candido mantello.

Soltanto il diadema fu salvato

 

che povertà pennellò d’oro finto:

il ferro con cui era foggiato

con errato colore fu dipinto.

 

Tutto sarebbe stato cancellato.

Oh papà! Ti è stata ostile l’arte,

neppure mamma la voleva.

 

- Il tuo genio tienilo da parte -

ricordo che lei sesso diceva

- usalo e assaporalo da solo! -

 

Perché non hai fermato allora

quella rabbia che per il rimorso

è continuata per anni ancora?

 

Anche se il tempo è ormai trascorso,

voglio dare pietosa sepoltura

ai cocci di calce ingrigita.

 

Li porterò nella vecchia serra,

dove lei è stata costruita

e li coprirò con la nuda terra.

 

Voglio che tanti fiori ricoprano

insieme ai tristi rimpianti

anche questa piccola, esile mano.

 

 

 


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