Il filo conduttore dell'analisi di Stefan Zweig è l'inconciliabilità dei tre personaggi simbolo con il mondo in cui vivono. Meglio dire con il mondo che li circonda, li assedia.
Molto intelligente il raffronto dei tre con “la misura”, incarnata da Goethe.
Hölderlin all'inizio deve disfarsi del mito di Schiller, gli scrive:” Talvolta sono in segreta lotta col vostro genio per salvare la mia libertà”.
Ma principalmente deve evitare Kant, definito da Zweig: “...solo cervello, spirito. Un gigantesco e gelido blocco di pensiero che ha profondamente ostacolato la produttività dell'era classica, stroncando la sensibilità, la gioia di vivere, il libero volo degli artisti... Un negazionista della natura, privo di spontaneità”.
Hölderlin invece crede nella origine divina della Poesia che per lui non è ornamento ma senso e finalità supreme.
Egli non trae versi dal suo sangue, semi, nervi, sensi...ma da una naturale nostalgia verso l'irraggiungibile mondo superiore.
Trasforma perciò la vita in poesia ma rifugge dalla vita nella poesia, rifugiandosi nella realtà superiore e più vera della sua esistenza.
Von Kleist è definito un fanatico della disciplina esercitata su se stesso con metodi prussiani d'insegnamento. Fu in eterno contrasto con se stesso.
La sua tragicità e grandezza sta nel suo gettarsi tutto intero in un sentimento senza trovare mai la via del ritorno se non esplodendo o autodistruggendosi.
Sweig non riesce a spiegare nulla dei suoi problemi sessuali, che paiono invece essenziali in von Kleist.
Per Nietzsche il cambiamento radicale, il suo rinascere, avviene dal viaggio in Italia con la scoperta della luce. Diventa senza patria, uccello libero.
Griderà: Sono evaso!
Nietzsche riuscì a tollerare così a lungo la vita solo perché fu pronto a gettarla via ogni ora.
L'istinto di autodistruzione o auto rigenerazione diventa poco a poco la sua passione spirituale.
In conclusione un testo che può ben introdurre all'analisi dei tre giganti e al loro peso nella letteratura tedesca ed europea.
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