Preme all’approdo d’acque la città
che in sé oscilla e vacilla
e chiede voce nell’onda vagabonda,
vittima in piena di una cascata armata
di cemento, sovvertimento che si fa vanto
di un dominio ipotetico del mondo
aprendo tre piaghe ulcerose alle sue bocche.
Nel dolore notturno presto saranno occluse
tutte le vene, le voci azzurre del mare
poste nella teca di un astratto fulgore,
nella sfida infelice che induce a scorticare
resti d’arte morente, nella febbre di luce
che indugia sugli ori bizantini.
Questo narra la pena altrui degli occhi,
essendo noi ciechi e murati, chiosa albina
d’antica stirpe leonina, candida schiuma
che più non riconosce i suoi canali
noi, costretti a giorni chiusi di cammino.
* Dall’epigrafe murata nella sede del Magistrato
alle Acque di Venezia : “La città dei Veneti per
volere della Divina Provvidenza fondata sulle acque…
è protetta da acque in luogo di mura: chiunque oserà
arrecare nocumento, sia condannato come nemico
della Patria e sia punito… Il diritto di questo editto
sia immutabile e perpetuo.”
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