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Il Dottor Manero

di Dario Caldarella
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Pubblicato il 29/11/2014 15:18:05

 

Studiare i bidoni dell’immondizia, entrare in ogni anfratto per capire le persone. Questo è il lavoro di Renzo Manero, psicologo del pattume.

Riesce a carpire ogni informazione utile sui suoi pazienti tramite un lavoro certosino, fatto di ricerca, logica e decodifica. Una volta aveva capito che un uomo soffriva di una forma latente di isteria. Tutto grazie ad un barattolo di fagioli aperto malamente.

Me l’aveva consigliato un mio amico, ipocondriaco da sempre. Grazie a lui era riuscito a venirne fuori. Di solito non credo a questi santoni, ma la curiosità – e una buona dose di stress – mi impongono di fare un tentativo.

 

Sono le 16.30, come da accordi mi presento nel suo studio. Il pavimento è appiccicaticcio, quasi voglia trattenerti dal fuggire. Le pareti di tonalità accesa, per far urlare di pietà le pupille. Il resto è caos: libri, cartacce, lattine, piatti. Sembra la scena di un furto.

In mezzo alla stanza una specie di scrivania, quasi sommersa dal lerciume. Scorgo la sagoma di una donna, ha indosso una felpa di due taglie più grandi e mastica una gomma come Braccio di Ferro. Mi faccio largo tra il disordine e mi avvicino a lei.

- Salve.

Mi guarda con sospetto, alzando gli occhi per visionarmi. Spero di non avere qualcosa tra i denti.

- Prego.

- Sì, sono qui per vedere il dottor Manero, ho un appuntam….

Mi ferma con la mano.

- Ha il sacco.

Piccolo particolare, dato che è uno psicologo del pattume, sei obbligato a portarti dietro un sacco contenente la tua spazzatura della sera prima.

- Sì, eccolo.

Lo sollevo. Pesa. Spero non si sfasci mentre lo tengo in questa posizione.

- Benissimo, può entrare.

Mi indica una piccola porticina alla sua destra e torna a ruminare la sua gomma.

 

Lo studio vero è proprio è un cubicolo col tetto. Piccolo, quasi asfissiante. Anche perché il tanfo dei rifiuti è enfatizzato da un’unica finestra chiusa su cui batte il sole.

- Salve sono il dottor Manero.

Mi allunga la mano un tipetto che non supera il metro e settanta, pieno di capelli.

- Piacere, sono Bertecchia, avevo un appuntamento.

Ha la mano unta, come se non la lavasse da tempo immemore. Riesco a liberarmi della presa e prendo un fazzoletto.

- Benissimo signor Bertecchia, vedo che ha con sé il sacco. Ottimo! In cosa posso esserle utile?

- In questo periodo mi sento molto stressato e – mi interrompo indicando il fazzoletto – dove posso buttarlo?

- Dia qua, cominceremo proprio da questo, mi stava dicendo?

- Sì, beh…in questo periodo mi sento parecchio stressato e vorrei trovare la causa di questo st…

Mi fermo nuovamente, rapito dal suo modo di scrutare il fazzoletto, sfogliandolo e annusandolo.

- Non faccia caso a me, è la prassi. Continui, continui pure!

- Ecco, io faccio l’insegnante. È normale che sia un po’ stressato e – passa a scrutare il sacco, mi blocco un’altra volta, come se mi sentissi sotto esame – forse ho sbagliato a venire, mi sento un tantinello a disagio.

Riaffiora dall’interno del sacco, mi guarda abbassando un paio di occhiali fino alla punta del naso, non mi ero nemmeno accorto che li portasse.

- Lei è un tipo ossessivo signor Bertecchia. Ossessivo e paranoico, non ci siamo proprio.

Inizio a sudare freddo.

- Cosa c’è che non va?

- Mi sembra chiaro. Che è ossessivo si capisce dalle bottiglie senza etichetta. Le strappa via per ricompattare un’unica gradazione cromatica. Per cercare un ordine ideale.

- Ma non mi sembra una cosa così grave.

- Dicono tutti così, e poi si ritrovano a sparare al cane dei vicini perché ha sfilacciato lo zerbino.

- Ma è terribile.

- E qui giunge la paranoia. Lei è talmente paranoico da aver rassettato questo sacchetto per paura del mio giudizio, mi dica la verità.

Mi sento trafiggere da quelle parole, come se mi coricassi sul lettino di un fachiro.

- Ma come fa a dirlo?

- Tracce evidenti, sparpagliate qua e là. I tovaglioli ripiegati, i bicchieri in fila. Sembra una natura morta. Ha paura del giudizio della gente signor Bertecchia?

- Beh…non sono proprio una persona sicura di me.

Il caldo mi annebbia la vista, la tensione gioca coi miei riflessi.

- E fa l’insegnante? È difficile reggere una classe se non si è sicuri di sé.

- In realtà non sarei proprio un insegnante di ruolo, diciamo un supplente.

- Allora cosa stiamo qui a raccontar frottole? Mi pare ovvio che lei voglia fare bella figura in un luogo inadatto. Io sono qua per aiutarla, ma lei deve venirmi incontro.

Inizio a non controllare il respiro, i battiti si fanno irregolari e la testa è sempre più leggera.

- Non avrebbe un bicchiere d’acqua?

- Ma certamente – me la porge e incalza – lei non deve avere paura di me. Io non sono un lupo cattivo, ora inizieremo un percorso per aiutarla a…ma cosa sta facendo? - senza accorgermene mi ritrovavo la bottiglia tra le mani, e la stavo privando dell’etichetta – La situazione è più grave del previsto, lei è malato. Ha bisogno di essere internato per riprendersi appieno!

Il fisico. Non lo controllo più…

 

Sono passati tre mesi dal mio incontro col dottor Manero. Ora la mia vita va a gonfie vele. Non mi sono mai sentito così accettato e sicuro di me. La signorina Aliotti ha detto che mostro passi da gigante. Mi sa che ci resto volentieri qui dentro.

- Signor Bertecchia, è arrivato il momento delle medicine.

- Finalmente, non stavo più nella pelle!

Così si ragiona. Sono il capo qui dentro. Sono il migliore, e tutto grazie al dottor Manero.

È proprio vero, siamo quello che gettiamo!


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