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Ser Cepparello, qual pessimo uomo in vita ...

di Antonio Risi
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Pubblicato il 05/05/2015 19:51:40

Ser Cepparello, qual pessimo uomo in vita all’Inferno dannato, nel mondo per santo reputato, è, con insolito decreto di Domeneddio, in Paradiso condotto

 

Un giorno, mentre nel mondo le fabbriche chiudevano a causa della crisi, anche il Padreterno, per risparmiare, de­cise di chiudere l'Inferno ed il Purgatorio.

Non era certo una decisione da prendere subito, perché avrebbe dato troppo nell'occhio, ed anche perché, prima di raccogliere tutte le anime dannate e purganti nel Regno dei Cieli, bisognava fare qualche esperimento, accogliendo in cielo qual­che spirito isolato, per vedere, come dire, che effetto avreb­be fatto.

Senza contare che i diavoli dell'Inferno e gli Angeli del Purgatorio avrebbero scioperato.

Il Signore riunì in concilio angeli e santi del Paradiso, per esporre loro la faccenda e per scegliere un dannato da trasferire.

L’opzione cadde su un certo Ser Cepparello, tristo figu­ro, risiedente in uno degl'infimi gironi infernali. La scelta era motivata dal fatto che costui, per errore, era considerato santo sulla Terra, e pertanto nessuno, almeno tra i vivi, si sarebbe accorto del cambiamento di sede.

Fu trovato, a fatica, un volenteroso disposto a discende­re agli Inferi per compiere la delicata missione. Sorvoliamo sui particolari del trasferimento, ed arriviamo al fatidico giorno dell'ingresso di Ser Cepparello in Paradiso.

Costui, appena entrato, spa­lancò gli occhi per lo stupore. Tutto ciò che vedeva era in­descrivibile: il Paradiso era una vera e propria metropoli con strade, piazze, appartamenti, negozi, uffici, e così via.

Gioiosa, così si chiama la Città Santa, possiede una speciale qualità: la puoi abbracciare tutta con lo sguardo. Non per la sua piccolezza, dato che essa è infinita, ma perché è stata costruita con tale sapienza urbanistica da permettere a chi vi si trova di comprenderne la struttura e di non perdersi mai, tanto che non c'è bisogno di piantine topografiche per orien­tarsi. Da qualsiasi parte ci si trovi, si può vedere la piazza centrale col suo edificio circolare. Questo edificio, poi, ha una particolarità: la forma e la disposizione dei suoi elementi architettonici crea una sorta di cassa di risonanza per cui chi si trova lì può ascoltare tutte le conversazioni che si svolgono nei diversi punti della città, anche se si par­la a bassa voce. Gli edifici sono stati costruiti con una di­sposizione tale da non avere mai, nel corso della giornata, facciate in ombra. Eppure non è possibile descrivere la for­ma di questa città con il linguaggio consueto. Per la sua inafferrabile purezza, eleganza, bellezza e perfezione delle forme, ciò che più vi si avvicina, nel nostro universo mate­riale, è il fiocco di neve.

Ser Cepparello, girovagando oziosamente per la città, si ritrovò ad un certo punto nella piazza centrale. Osservò l'elegante edificio rotondo, domandandosi qual palazzo fos­se mai quello. Chiese informazioni ad un passante e seppe ch'era una banca. Pensate voi qual fosse la prima idea del novello ospite celeste: compiere una rapina! Si calò sul vol­to un passamontagna che s'era ritrovato chissà come fra le mani, ed entrò.

“Fermi tutti! Questa è una rapina”.

“Ser Cepparello, venga. La stavamo aspettando”, fece l'impiegata allo sportello, un angelo calmo e pacato, dal sor­riso radioso.

L'uomo rimase interdetto: non s'aspettava d'essere rico­nosciuto.

“Non se l'aspettava, immagino”, indovinò l'impiegata, leggendogli il disappunto nel volto, pur coperto, “Succede sempre, sa', coi nuovi arrivati”.

“Sta' zitta, o t'ammazzo!”

“Vada là! Chi vuole ammazzare? Si rende conto di quel che dice? Siamo già morti tutti. È vero che all'Inferno, malconci come siete, sembrate più morti di noi, ma non siam vivi neanche qua. E adesso mi dica quanto le occorre”.

“Tutto. Tutto quello che c'è nei forzieri”.

“Non è possibile”, puntualizzò fermamente l'impiega­ta, “i nostri forzieri sono miracolosi: non si svuotano mai”.

“Poche chiacchiere”, sbuffò Ser Cepparello spazienti­to, “riempite i sacchi senza fiatare. Questa è una rapina, ho detto”.

“Ma, Ser Cepparello, mi scusi”, fece l'impiegata senza scomporsi, “perché vuol compiere una rapina? Lei può prelevare tranquillamente quello che le occorre, senza sbraitare tanto”.

Intervenne la capufficio, un arcangelo dolce ed autori­tario:

“La Banca del Paradiso apre automaticamente un con­to ai residenti, che in vita hanno investito presso di noi i loro talenti. In tal senso, lei non ne avrebbe diritto, ma be­neficia di una specialissima deroga, in quanto soggetto sot­toposto a trasferimento sperimentale per Divin Decreto”.

“In realtà, lei queste cose dovrebbe conoscerle”, pun­tualizzò l'impiegata allo sportello.

“Evidentemente è qui da poco: ancora non gli è stata concessa la visione di Dio, che gli permetterà di essere tutto in tutti. Adesso è quasi del tutto cieco”, chiarì l’arcangelo, che evidentemente, per il suo grado superiore, conosceva in modo più approfondito le decisioni che venivano dall’alto.

“Io ci vedo benissimo!” sbottò Ser Cepparello, ma proprio in quell'istante gli caddero come delle scaglie dagli occhi. Subito la luce immensa del Paradiso lo colpì. Poi co­minciò a sentire qualcosa su di sé, come uno sguardo acu­tissimo che penetrava a fondo nella sua anima. Era una sen­sazione nuova, mai provata quando era all'Inferno, anche se, ora s'avvedeva, laggiù aveva sempre desiderato qualcosa del genere, ma questo desiderio era vano ed indefinito. I dannati vorrebbero vedere Dio, anche se non ricordano più il Suo Nome, perché non possono santificarlo. Ser Ceppa­rello, riacquistata la vista, cominciava a percepire la visione beatifica dell'Eterno. Il malvagio, fissando lo sguardo entro l'occhio implacabile di Dio, si vedeva finalmente qual era: la sua iniquità gli stava davanti come se fosse scritta a lette­re di fuoco.   Si sentì improvvisamente perduto.

“Dovrò mutar carattere”, decise, “adattarmi ai civili costumi degli abitanti del Cielo”.

Questo era un bel proposito, ma il nostro povero diavo­lo comprese che non sarebbe riuscito ad attuarlo. Mutamen­ti ed evoluzioni vanno bene nel nostro universo spazio-tem­porale, ma in Paradiso il tempo è abolito ed ognuno di noi ha un carattere fissato per l'eternità. Nel contempo si rende­va conto che tutti gli abitanti del Paradiso potevano penetra­re a fondo nella sua anima oscura. Non solo non gli era pos­sibile simulare, ingannando il prossimo, ma doveva soppor­tare di sentirsi vergognosamente nudo, esposto al severo giudizio di angeli, santi e beati.

“Povero me!” pensava, “Tutti sapranno che sono mal­vagio, e mi odieranno!”

Sì sbagliava, il poverino! Nessuno avrebbe potuto odiarlo, perché il Paradiso è il regno di Dio, ed i beati sanno solo amare. Il meschino si sentiva addosso l'amore di tutti, senza potersi nascondere. Gli sembrava mille, diecimila volte meglio l'Inferno coi suoi strumenti di tortura.

Il Padreterno, considerando che la sofferenza di Ser Cepparello s’era accresciuta dacché era stato trasferito in Paradiso, comunicò al Celeste Concilio la riuscita dell’esperimento. 

 

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