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Fa e do, diesis

di Daniela De Vita
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Pubblicato il 23/08/2015 13:50:40

Aprì il mobile e alzò lo sguardo verso l’ultima mensola, quella dove erano conservati tutti i suoi vecchi libri di musica. Salì su una sedia e, fra tanti spartiti, trovò il suo primo libro d’esercizi per pianoforte: era quello che cercava. A guardarlo ora le faceva una gran tenerezza, le note erano grandi come un uovo, stampate in nero pece che non potevi confonderti; il bordo aveva subìto un’opera di consolidamento, le pagine erano fissate con più giri di nastro adesivo.
Liberato dalla morsa degli altri libri, il giallo sbiadito della copertina si rianimò, quasi sapesse che di lì a breve sarebbe tornato sul leggio, ad assolvere la sua funzione.
Odile lo sfogliò delicatamente e pensò che poteva andar bene anche se non serviva per un bambino; d’altronde, che tu abbia sei o quarant’anni, se non hai mai letto una nota non cambia molto.
Decise che la prima lezione sarebbe stata all’aperto, così le note sbagliate non sarebbero rimaste tra le quattro pareti a gironzolargli intorno, confondendolo, ma sarebbero volate via. Lui non lo sapeva, ma lei era riuscita a noleggiare un pianoforte a buon prezzo e al ritorno dal supermercato sarebbe stato in giardino, sul retro.
Posate le buste della spesa in cucina, lui salì in camera e si mise a lavorare al computer, lei andò in giardino con la scusa di prendere del basilico per il pranzo. Il piano era lì, all’ombra del glicine: nero e un po’ consunto, verticale, come quello antico di famiglia. Con la differenza che non c’era una parete a fargli da cornice con quadri e foto antiche, ma solo un tronco che sembrava sbucare dalla cassa.
I suoi occhi sorrisero. Non esitò: si sedette, scoprì la tastiera e, come faceva un tempo, accarezzò i tasti. Era un gesto di gentilezza e rispetto, che le serviva anche a concentrarsi.
In varie occasioni, alla stazione, al pub, a casa di amici, si erano trovati davanti a un pianoforte. Puntualmente G. le chiedeva “Suonami qualcosa!”, lei si rifiutava arrossendo, mentre lui – smanioso e dispiaciuto – premeva tasti a caso.
Da quando non abitava più con sua madre, Odile aveva smesso di suonare, o meglio, lo faceva solo quando tornava a trovarla. Secondo lui suonare era un po’ come andare in bicicletta, non puoi dimenticarlo, basta iniziare a pedalare e a poco a poco si prende velocità. Lei non ne era molto convinta, insicura com’era aveva paura di pasticciare con le note; ma ora che lui desiderava imparare, si sarebbe messa alla prova.
Nelle settimane precedenti G. si era accorto che le visite di Odile a sua madre erano aumentate, con le scuse più disparate. Lei gli spiegò che era solo preoccupata per l’età che avanzava e voleva starle più vicino. Invece...
Aveva scelto “Bei mir bist du ‎schön”, era un pezzo che a tutti e due piaceva canticchiare e poi le ricordava una sera in cui lo avevano ballato fino allo sfinimento in quel locale dove suonavano lo swing.
Era seduta di spalle alla casa, quindi non riusciva a vedere la finestra, ma sapeva che lui, richiamato da quel suono inaspettato, la stava osservando. Non sapeva che reazione avrebbe avuto, ma quando lo sentì portare il tempo con le dita e sedersi sullo sgabello accanto a lei pensò di aver fatto la cosa giusta. Sì, perché lui non s’entusiasmava facilmente: se gli avesse anticipato la sua idea avrebbe trovato mille problemi. Un pianoforte in giardino? Follia! “Quanto ci costa, come lo portiamo, e se si rovina?”. Si abbatteva quando qualcosa gli sembrava impossibile o difficile da realizzare. Lei, nonostante il timore di infastidirlo con le sue genialate era andata avanti con quella sua testa dura.
Aveva pensato a tutto: il pianoforte sarebbe andato al posto della cassapanca stracolma di oggetti inutili, che aveva già spostato – svuotata – all’ingresso, sotto l’attaccapanni. Per ora il piano era in affitto, più in là avrebbe potuto portare quello che aveva da sua madre.
Fecero antipasto con crome e semiminime al sapore di re maggiore, una delle scale più semplici, con solo due alterazioni: fa e do diesis. Una bella quinta giusta, come loro due.
Odile preferiva i diesis perché aumentano la nota di un semitono, sono alterazioni crescenti, “positive”. Come nella loro vita, cercava sempre quel mezzo tono in più in ogni occasione.

Dopo note e figure, musicali, fu questa la prima cosa che gli insegnò.


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