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nuvole d’ottobre dentro al bar

di Filippo Di Lella
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Pubblicato il 30/09/2017 00:50:30

Il mese buio fece capolino dall'oblò della mia camera singola illuminando di grigio le foto appese e il comodino sempre in disordine di fianco al letto.
Il freddo fuori dalla coperta era più uno stato d'animo che non una condizione fisica; il profumo di un caffè raffreddatosi troppo velocemente saliva dalle scale portando un buongiorno sbiascicato dai rami dell'oleandro mezzo congelato.
Eseguii tutti i miei riti mattutini non rendendomi quasi conto dello sciabordio del lavandino mentre mi radevo.
Misi su una camicia. Scura.
Indossai pantaloni, scarpe e giacca. Scuri.

La chiesa non era molto distante, per strada mi fermai a comprare le sigarette e a bere un caffè.
Freddo. Freddo nell'aria, freddo nelle nuvole, freddo nel mio sguardo intristito.
Quando arrivai il sagrato era semi deserto e gli addetti delle pompe funebri si sfregavano le mani nei loro guanti spegnendo una sigaretta sotto le suole eleganti.
Entrai avvertendo il sempre fastidioso odore di incenso e strage proprio di simili occasioni.
Il prete recitò tutto il suo sermone invitando i fedeli alla preghiera e gli amici a stringersi al cordoglio del marito.
Stavo per andare via quando, contro ogni aspettativa, il Flavio fece cenno al prete il quale annuì invitandolo a salire.
Non era lui. Non era il solito Flavio del bar. Erano sparite tutte le chiacchiere, le spacconate, le battute e i discorsi sullo sport ai quali tutti erano abituati.
Il suo viso di tranquillo sessantacinquenne era scavato e pallido e illuminato all'altezza degli occhi dal fluire sincero delle sue passioni.
Tossi' nel microfono.
Prese fiato e attaccò:
- Addio.
Addio, addio dolce compagna, amica, amante...addio.
Saluto te e l'amore che m'hai insegnato, i sorrisi per i quali mi guidasti in questo tuo tempo mortale, le tue mani, saluto te e tutti i melograni ricchi che possedeva il tuo umore, saluto tutte le stagioni in cui m'hai stretto e quelle in cui t'ho tenuta per i fianchi e accarezzata, sfiorata, tutti quei giorni in cui salivi le scale aprendo poi la porta del mio quotidiano regalando vita ai miei giorni, alle ore, ai minuti brevi come istanti di un bacio che non basta mai.
Addio, addio mia sposa, addio ai tuoi golfini troppo pudichi, alle tue canotte giovanili, alle tue gonne e ai tuoi capelli spettinati tra le federe, addio al tuo volto affacciato al balcone minuscolo su quel viale dai troppi semafori, addio a tutta la morbidezza del tuo seno e alle rughe del tuo ridere, addio ai tuoi silenzi.
Amore...-
Qui fece una pausa, il silenzio era irreale ma il suo piangere composto no; quel fiume del quale le sorgenti erano cementate nel cuore non s'arrestava e tutta la chiesa sembrava essere attraversata da una corrente, nessuno aveva più fiato...l'avevano tutti dato a lui affinché potesse continuare senza rimanerne senza.
Un tremore invase per qualche secondo la sua mano macchiata di nicotina e nei e lentiggini e ricordi di mestieri pesanti, di scintille e martelli, di acciaio fuso e fuoco vivo.
Un tremore invase per qualche secondo la sua mano e sembrò che il campanile tremasse insieme alla sua pena immensa, alla sua mano divenuta solitaria e senza appoggio proprio come la casa delle campane sposata alle nuvole per sempre.

-Addio- ricominciò, -Addio mia maestra e alunna, addio mia complice.
Qui seppelliscono le tue spoglie carni svuotate dell'anima che mi hai instillato, qui cadono le mie lacrime salate e qui sbatterà il mio pugno di rabbia per i giorni che mi restano.
Tu sei...tu eri il motivo per cui avere un salotto, una tv, un cane... Non volevo di più, non volevo di più... Eri le mie birre, eri l'eco del mio cuore che risuona come l'onda delle pozze solitarie quando cade la pioggia ed eri l'esplosione del temporale in esse, il loro tracimare, l'allagamento nelle mie vene e la foresta che le circonda.
Eri le montagne che orientavano il mio polo.
Dolce sposa, potrei respirare ancora solo nel tuo abbraccio e crescere, ma...ma tu dovevi andare e questa vita non ci è bastata, non mi è bastata.
Questa vita, vita mia, non è stata abbastanza per poterci separare...
Ti saluto nella tua pace con lo strazio che cresce e mi ricopre e col più grande dei sorrisi nel mio intimo per aver avuto l'onore di dividere il tuo fianco...
Sei stata lo scorrere delle mie lancette e il ritmo dei miei respiri, sei stata la luce che entra dalle finestre nelle prime giornate tiepide di primavera e quel venticello leggero che muove la tenda durante tutti i giorni che abbiamo diviso.
Oggi che dio ti porta via da me so che non ci sarà più l'estate e anche se non credo al paradiso prometto che sarò buono.-
Detto ciò semplicemente scese per la scaletta laterale senza più proferire parola nemmeno con dio per tutto il resto dei suoi giorni e asciugandosi lacrime, muco e sudore sulla manica della giacca lisa.

Girai le spalle e mi incamminai uscendo dalla chiesa verso la vita che m'aspettava ancora da quelle parti, presi il marciapiede accendendomi una sigaretta verso lacrime e sorrisi non ancora conosciuti in quel freddo giorno d'ottobre con la vaga sensazione che avrebbe piovuto presto.
Ebbi la sensazione di non aver nulla tra le mani, non avevo mai davvero avuto nulla tra le mani, era stato tutta una storia nel mio piccolo cranio ossuto e senza capelli o cuoio, era solo tutto un hallelujah.
Nessun ricordo, nessuna persona, niente.
C'era qualcosa...
Era l'hallelujah di tutti i drogati, un cantico di buio, luce e stridore d'ossa che risuonava passando dai ponti delle statali, dalle auto in corsa lenta, le piazze fuori mano e gli usci scordati anche dalla miseria; la voce stridula d'un mondo alterato con luci strane, mani fuori posto, vicoli e divani, sorrisi e occhi sfatti, tradimenti, giochi strani mentre ti rubano il portafoglio...strani modi, strano tutto...un la fuori posto nella melodia del tutto come una dissonanza non voluta, un'assonanza di misteri e strumenti utili e truffe intellettuali.
Poi tutto si spense in peristalsi golose, rilassate. Sonni gravi, sogni grevi, amori andati e finiti a prostituirsi nell'appartamento del pusher o in auto, al parco, per strada, ovunque nascondere nudità a sguardi indiscreti e invidiosi.
Prostitute all'angolo della via...
Un ospedale ha sentito mille canzoni spente chiudendo i loro occhi in attimi di vera pace.
Hallelujah, hallelujah...hallelujah!
Era la sigla di un cartone animato con aghi infetti, draghi sozzi, vene che palpitano e pazzia.
Non c'era nulla nelle mie mani, non c'era mai stato nulla nelle mie mani...tutto precipitava nelle percezioni sconquassate dei turbini di ghiaccio.
Il cantico di un respiro soffocato, un -ahhhh!- soddisfatto e un viaggio che si chiudeva per ricominciare al prossimo incrocio, era parlare di ciò che davvero sai, degli incubi veloci, di quelli moderati, era il culo sporco dei delfini che stramazzavano in un hallelujah dalla santità bruciata, la redenzione negata, le auto di lusso nei quartieri bene...
L'hallelujah contagioso.
L'hallelujah sifilitico e contorto della sera, niente pace.
Denti rotti e graffi mascellari, la punta di un diamante senza reni.
Pianti al buio e lacci ai polsi, il disegno dei morsi di cani urlanti, povertà... Ricchezza, sciacquone...
Disgusto, orgasmi, origami di lacrime e buchi, tagli, lividi e storte alle caviglie.
Voci storte, voci rotte... L'hallelujah dei drogati era una pace che sa di morte.
Non era niente mio, non lo era mai stato.
Riprendi i sensi, ti ripulisci dal vomito sui pantaloni e ti rialzi ancora confuso e barcollante deciso ad essere sconfitto per l'ultima volta.
La sconfitta...eterna compagna senza requie, quando mi capitano delle cose buone resto a chiedermi dove sia la fregatura.

Una sera spensi la luce, presi un coltello dal cassetto e incisi il mio polso sinistro.
La vita, sapete, è forte. È più forte di quanto potreste pensare.
Fermai la mano, riprovai.
Niente.
Ero ancora lì, sudato, sporco e avevo fallito anche col fallimento.
È un mondo duro, davvero un mondo duro.
Era passato tanto da allora...
Ahahahah!

E poi...poi accadde: in un bel luglio mi innamorai di nuovo contro ad ogni proposito e aspettativa.
Dapprima fu gioia e spericolatezza, venne l'amicizia, poi l'affetto e poi...poi incominciai ad amarla come se l'amore non fosse mai esistito prima, come se fosse l'unico amore possibile al mondo e tutti gli altri ne sarebbero stati esclusi, iniziai ad amarla e a morire in lei e fu il primo passo.
Quell'hallelujah rotto e disincantato iniziò a mutare battito e ritmica, lei vestiva di colori come abiti troppo corti per contenerla e leggera muoveva i suoi lenti passi nella mia direzione disorientandomi ad ogni ondeggiare di un sorriso luminoso e della rugiada ingiallita che avvertivo talvolta nella sua anima riservata.
Tutto passava sciacquando il mondo che da così tanto era coperto dal grigio nei miei occhi.
Una canzone nuova e sottotono prese pian piano a sostituire l'altra fino a coprire di insulti un ego e un cosmo precedentemente affittato a quattro lire, v'erano fiori nei tombini e quattro spicci di sogni a cui credere, un parco pulito e nessun pericolo.
Avevamo tutto, era tutto nelle nostre mani e non lo sapevamo, era tutto lì ma forse la realtà era semplice: non c'era mai stata davvero una scelta, nessun ritorno né alternativa.
La notte non era poi più così fredda.
Le mattinate non erano sempre così luminose né allegre ma ci incollavano senza colpa né peccato anche nelle camere a noleggio o nei letti rubati ai tempi vuoti.
Era alba e tramonto, era un minuetto e non più un hallelujah.
Cercammo la nostra estate in capo ad un volo di quattro ore, cercammo le nostre risate e i nostri abbracci nello scorrere di noi uno nell'altra.
Tagliò via i capelli della mia disperazione.

E così nel mio abito scuro scacciai ciò che dovevo mettendolo da parte.
Mi amò.
Mi amò e mi sembrò che un minuetto battesse sulla testa di tutti i cani ritardati ponendo finalmente un freno alla pazza, folle e immotivata corsa del mondo.
Tutto si placò.

Rifeci i passi verso casa fumando con calma sotto la pioggia fredda di quel mese.
Tutto bene, tutto okay e lacrime nascoste dalla pioggia e sommerse da un sorriso.

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