Partirei da dove m'inchiodi.
Dagli occhi,
per rintracciare una sorta di strada maestra
una clessidra rotta in tre punti dai soliti chiodi
che ti tenevano in piedi, tra le sfere celesti
e passerei sulla fronte, di ronda, in rondine in festa
a registrare sbalzi d'umore e temperature di mari in tempesta
onde rotte, canna nasale, colonne d'Ercole:
orchestra di ciglia, i lobi in attesa.
Ha nodi la scala che conduce al pannello di controllo
del tuo giaciglio portante, corpo e foresta di vetri appannati,
bottoni e interludi di giada a pioli.
Il mento ed il collo scompaiono in un gorgo di luce
che t'ingoia la voce, ecco perchè non parli e socchiudi
labbra di carne.
Dal momento che non mordo
non lascio segni sui seni e le spalle.
Piovono d'oro i parallelismi di collane volanti.
A segnarti le guance.
Col favore delle sillabe (e di versi soffiati)
stanotte verrò in sogno da te, a slegarti i capelli.
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