Care Autrici e Lettrici, cari Autori e Lettori,
vi invitiamo a partecipare, lunedì 21 novembre 2011, all’incontro, dal vivo, de LaRecherche.it, al Cheese and Cheers, bistrot allocato in via P. Falconieri 47/B a Roma (Zona Monteverde), dalle 20.00 in poi. Venite senza aspettative, non troverete “poetoni” o “criticoni”, “paroloni” o altro che finisce in “one”, troverete invece, sicuramente, tre redattori e qualche collaboratore, serenamente a discorrere e a mangiucchiare qualcosa. Per la serata proponiamo il seguente tema:
Che cosa è la poesia per me? Che cosa mi chiede la poesia?
Ognuno può intervenire su tale argomento, portando la propria personale esperienza e/o proponendo letture, proprie o di altri autori.
In preparazione alla serata vi proponiamo la lettura di questi due brevi testi della poetessa portoghese Sophia de Mello Breyner Andresen nella traduzione di Giovanni Avogadri (li rileggeremo e commenteremo insieme a inizio serata):
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Testo letto da Sophia de Mello alla Sorbona in Parigi, nel dicembre del 1988, in occasione dell’incontro “Le Belles Etrangeres”.
Nella mia infanzia, ancor prima di saper leggere, ascoltai recitare ed imparai a memoria un antico poema tradizionale portoghese, conosciuto come “Nau Catarineta”.
Ho avuto così la sorte di cominciare direttamente dalla tradizione orale, la sorte di conoscere il poema prima di conoscere la letteratura.
Di fatto ero così piccola da non sapere che i poemi fossero scritti da persone, ma credevo che essi fossero consustanziali all’universo, che fossero la respirazione delle cose, il nome del mondo detto da lui stesso.
Pensavo anche che se fossi riuscita a rimanere completamente immobile e muta in certi angoli magici del giardino, sarei riuscita ad ascoltare uno di quei poemi, che l’aere stesso portava in se.
In fondo, per tutta la mia vita ho tentato di scrivere questo poema immanente.
E quei momenti di silenzio nel fondo del giardino mi hanno insegnato, molto tempo dopo, che non c’è poesia senza silenzio, senza aver creato vuoto e spersonalizzazione.
Un giorno a Epidauro - approfittando di un momento di pace durante il pranzo dei turisti - mi sono messa nel centro del teatro ed ho pronunciato a voce alta l’inizio di un poema.
E udii nell’istante seguente là, in alto, la mia stessa voce, libera, ormai slegata da me stessa.
Tempo dopo ho scritto questi tre versi:
La voce sale gli ultimi gradini
Ascolto la parola alata impersonale
Che riconosco non essere più mia.
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Sull’arte poetica
Tratto da “Geografia”, Editorial Caminho
La poesia non mi chiede propriamente una specializzazione, poiché la sua arte è l’arte dell’essere. Ugualmente non è il tempo o il lavoro che la poesia mi chiede. Non mi chiede una scienza, né una estetica e nemmeno una teoria. Mi chiede anzitutto l’interezza del mio essere, una coscienza più profonda della mia intelligenza, una fedeltà più pura di quella che io posso controllare. Mi chiede una intransigenza senza lacuna. Mi chiede di trarre, dalla vita che si corrompe, si guasta, si consuma e diluisce, una tunica senza cuciture. Mi chiede di vivere attenta come un’antenna, mi chiede di vivere sempre, che mai mi distragga. Mi chiede un’ostinazione senza tregua, densa e compatta.
Poiché la poesia è la mia convivenza con le cose, la mia partecipazione al reale, il mio incontro con le voci e le immagini. Per questo il poema non parla di una vita ideale ma di una vita concreta: angolo di finestra, risonanze di strade, di città e di appartamenti, apparizioni di volti, silenzio, distanza e luci di stelle, respirazione della notte, profumo di tiglio e origano.
È questa relazione con l’universo che definisce il poema come poema, come opera di creazione poetica. Quando c’è relazione con una materia c’è artigianato.
È l’artigianato che chiede specializzazione, scienza, lavoro, tempo e una estetica. Ogni poeta, ogni artista è artigiano di un linguaggio. Ma l’artigianato delle arti poetiche non nasce da se stesso, questo è relazione con una materia , come nelle arti artigianali. L’artigianato delle arti poetiche nasce dalla propria poesia, alla quale è consustazialmente unito. Se un poeta dice “oscuro”, “ampio”, “barca”, “pietra” è perché queste parole nominano la sua visione del mondo, il suo legame con le cose. Non saranno scelte esteticamente per la loro bellezza, ma saranno scelte per la loro realtà, per la loro necessità, per il loro potere poetico di stabilire un’alleanza. È dall’ostinazione senza tregua esigita dalla poesia che nasce l’”ostinato rigore” del poema. Il verso è denso, teso come un arco, esattamente detto, perché i giorni furono densi, tesi come archi, esattamente detti. L’equilibrio delle parole tra loro è l’equilibrio dei momenti tra loro.
E nel quadro sensibile del poema vedo dove vado, riconosco il mio cammino, il mio regno, la mia vita.