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Giuseppe Conte

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 25/07/2008 21:51:37

DOMANDA.
Leggendo sul suo sito personale la sua biografia c’è da spaventarsi per la “potenza culturale-letteraria” che traspare, sviluppata fin dalla giovane età e nel corso degli anni assestata con azzeccate scelte (invitiamo i lettori a dare una sbirciata al sito personale di Giuseppe Conte: www.giuseppecontewriter.com). Nonostante questo, leggendo il suo libro di poesie, “Ferite e rifioriture”, si percepisce un poeta semplice e snello, oseremmo dire pratico, con un forte senso dello humor, nonostante la serietà dei testi proposti e delle tematiche trattate, per fortuna abbiamo letto la sua biografia soltanto dopo la lettura dei suoi testi... Che cosa rimane di quel ragazzo che scrive in inglese un diario umoristico che poi dona ai suoi padroni di casa dopo la scuola estiva di inglese a Bath?

RISPOSTA. Scusatemi, ma perché fa paura la cultura e la complessità, e soprattutto perché viene intesa come volontà di potenza e non come desiderio di conoscenza? Nel mio caso, assicuro che cultura e passione di conoscenza coincidono. Sono affamato di sapere, mi pongo ogni giorno domande e cerco risposte possibili. Mi piace fare sul serio, prendere le cose di petto, considero l’endemica mancanza di serietà una delle piaghe che affligge la cultura e la società italiana da secoli. Nella mia vita privata poi, da quando ero ragazzo a oggi –in realtà mi sento sempre ragazzo- ho sviluppato humour e gusto del ridere più di tanti, certo più di tanti comici (molti di quelli che ho conosciuto nella vita sono ometti sussiegosi e tristi) e di tanti autori che puntano su sberleffo, parodia, dissacrazione e simili cazzate.

DOMANDA.
Dal 1964 al 1968, cito dal suo sito, “abbandona ogni pratica religiosa, pur restando legato a una visione religiosa delle cose”. La sua visione religiosa delle cose si percepisce sia nella raccolta sopra citata sia nel suo ultimo romanzo “L’adultera”, perché ha scelto di dare voce all’adultera del Vangelo secondo Giovanni? La domanda banale che nasce è in quale percentuale la voce dell’adultera è la voce di Conte che vive la sua prima esperienza sessuale a diciassette anni (così come scritto nella sua biografia), in un periodo storico in cui la libertà cosiddetta sessuale risultava essere ancora non pienamente espressa?

RISPOSTA. La mia religiosità, dopo un periodo giovanile di materialismo assoluto, è nata dal senso del mistero e dal rispetto della sacralità dell’universo. Mi sono riavvicinato al Cristianesimo per scrivere L’adultera, ma nel libro c’è anche la religiosità stoica di Seneca, per esempio. L’adultera del romanzo non sono io, non sono così flaubertiano (vi ricordate, quello di Madame Bovary c’est moi). L’adultera è un archetipo che io metto in scena in carne e ossa, vorrei che fossero le lettrici e i lettori a immedesimarsi nel personaggio. Ricevo molti messaggi soprattutto di lettrici che scrivono di avere “divorato” il libro. E’ il verbo che preferisco, una specie di comunione fisica tra chi legge e la pagina.

DOMANDA.
Sempre riguardo “L’Adultera” come mai ha scelto di farla ricadere nel peccato, voleva forse additare le continue cadute dell’umanità apparentemente indifferente al messaggio di Cristo?

RISPOSTA. La storia della mia adultera è quella di una redenzione impossibile. La donna insegue le proprie passioni e afferma la sua libertà anche nei suoi errori. Nondimeno cerca se stessa e la sua verità, soprattutto dopo l’incontro decisivo con il Maestro, che afferma una nuova legge fatta di pietà, mitezza e perdono.


DOMANDA.
Prendo dal suo sito: “Nel 1979, esce ‘L’ultimo aprile bianco’. E’ una raccolta di versi dove affiorano i temi del mito e della natura, che viene accolta con molto interesse e favore. Il giovane poeta apocalittico e lawrenciano, che scrive per distruggere le città dell’Occidente, si vede accettato e si impone di colpo come una delle voci del rinnovamento della poesia italiana. Naturalmente questo gli attira molti odi, che continuano e di cui lui si stupisce ancora ora”. In che cosa consistette tale rinnovamento? Perché attirò tanti odi? Un poeta può essere odiato? A che cosa si riferisce?

RISPOSTA. La poesia, attenzione, vive in sé ma anche nella storia della cultura, non è innocente esternazione o dolente esibizionismo dell’ego. Storicamente, quando io ho pubblicato le mie prime cose, il mondo della letteratura era dominato da poetiche nichiliste, tese alla parodia, alla negazione, alla dissoluzione, oppure dall’impegno dogmatico e coercitivo del dopo Sessantotto. Io , che venivo da esperienze d’avanguardia e che nel Sessantotto ero alla Statale di Milano, epicentro del Movimento, mi ribellai in nome della creazione poetica a tutto ciò. Per me la poesia doveva riprendere ad avere sintassi, metafore, simboli, passioni, eros, doveva riavvicinarsi alla natura e al mito, al sacro, all’anima, al destino. Il mito. Ce n’era abbastanza per farsi odiare per generazioni. Se un poeta può essere odiato? Chiedetelo alla memoria di Pasolini. E John Keats non morì per gli attacchi odiosi a cui fu sottoposto?

DOMANDA.
Nel 1994 promuove, a Firenze, l’occupazione pacifica della Chiesa di Santa Croce, dove un gruppo di poeti italiani leggerà “I Sepolcri” davanti alla tomba del Foscolo e verrà lanciato un programma per ridare vigore sociale e spirituale alla poesia contro una società che sta dimenticandola. Oggi lo rifarebbe? La poesia adesso è uscita dal dimenticatoio?

RISPOSTA. Certe cose si fanno una sola volta nella vita. Avevo 49 anni. Fu l’ultimo (?) colpo di giovinezza. Come ci siamo divertiti, alla fine. E che adesioni arrivarono, Ferlinghetti da San Francisco, Gao Xingjian (il futuro premio Nobel cinese, mio caro amico) da Parigi, Luzi non era a Firenze e mandò una bella lettera. Chi non capì quell’azione era vecchio. Stantio, novecentesco, pavido, rassegnato. Fu l’ultima volta che di poesia di parlò sui media. Oggi c’è un cono d’ombra su tutto ciò che riguarda la poesia.

DOMANDA.
Secondo lei la letteratura italiana è libera di esprimersi? C’è possibilità di visibilità per nuovi autori? Che cosa pensa dell’editoria italiana? Lei ha rapporti con scrittori esteri ed è tradotto in altre lingue, c’è differenza tra il leitmotiv delle case editrici italiane e quelle straniere?

RISPOSTA. Ci sono molti nuovi autori, c’è un giallista per ogni vallata, una densità di autori di thriller e noir più fitta di un banco di acciughe, un casino di blogger, diaristi, cabarettisti ecc. Solo che la libertà di esprimersi non è di per sé letteratura. Ma io sono contento che tutti scrivano. Qualcosa verrà fuori e di tutto quello che verrà fuori, qualcosa, poco, pochissimo, ma resterà. Dell’editoria ho imparato a pensare che fa quello che può fare. All’estero è lo stesso. Solo, in certi paesi allo status sociale dello scrittore è annesso più prestigio che in Italia, e si fa di più per difendere la propria lingua e la propria tradizione.

DOMANDA.
Riceviamo spesso richieste, da autori e frequentatori de La Recherche, di consigli sulla strada da intraprendere al fine di pubblicare i propri testi e ottenere una certa visibilità, a quali case editrici rivolgersi. Lei che consiglio darebbe a coloro che volessero tentare la strada della pubblicazione cartacea dei propri testi? Sappiamo che nel 1975 pubblica a sue spese (100.000 lire di allora) per le edizioni di Altri Termini di Franco Cavallo una plaquette intitolata “Il processo di comunicazione secondo Sade”. Come fare a capire se una casa editrice che pubblica a pagamento dice il vero sulla qualità dei testi?

RISPOSTA. Quando pubblicai la mia prima plaquette, ora ristampata da Pequod con una bella introduzione storica di Francesco Napoli, la pubblicai presso una casa editrice che era in realtà una costola di una rivista impegnata come Altri Termini di cui ero anche redattore. La garanzia culturale era quella. Oggi è impensabile il fervore e la passione che noi profondevamo allora nelle riviste, dove abbiamo fatto l’apprendistato letterario. Consigli: crederci, insistere, sacrificarsi se solo senti di non poterne fare a meno, se no è meglio fare altro. Alla fine un editore arriva.

DOMANDA.
Lei ha avuto qualcuno, nel suo percorso di scrittore, che l’ha aiutata ad affermarsi, sia nel lavoro sui testi, con un confronto di revisione di forma e contenuti, sia nella ricerca di riviste ed editori adatti ai suoi testi?

RISPOSTA. Ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada critici e scrittori come Pietro Citati e Italo Calvino, i primi che mi hanno davvero aiutato. Poi editor come Luciano De Maria alla Mondadori e Edmondo Aroldi alla Rizzoli. Infine un editore immenso come Mario Spagnol, alla Longanesi. A tutti loro devo molto.


DOMANDA. Molto probabilmente lei riceve dozzine di libri con richieste di recensioni, come si comporta? Li legge? Risponde agli autori? Dà consigli? Ha mai aiutato qualcuno ad emergere?

RISPOSTA.
Le recensioni è giusto che le chiedano i giornali. Ne scrivo di classici e di grandi temi, raramente di contemporanei. Ricevo moltissimi libri e manoscritti. Cerco di rispondere a tutti sin dove è possibile, alle volta in lunghi periodi di assenza da casa la posta si accumula, ed è difficile recuperare. Rispondendo, mando una mia impressione di lettura.


DOMANDA. Quali sono i suoi progetti futuri, scriverà altri romanzi o proseguirà con la poesia? Quale dei due generi le dà maggior soddisfazione?

RISPOSTA.
Ho molti progetti, ma ancora da precisare. Io non distinguo tra poesia e prosa, che trovano un loro fattore unificante nella ispirazione e nella visione del mondo. Sì, questa è la mia follia e mia sincerità : io credo che un autore tragga il diritto maggiore a scrivere quando ha da far avanzare una visione del mondo. Una grande utopia disperata. Una speranza infinita di luce. Per me è così, perdonatemi.


Il sito ufficiale di Giuseppe Conte è www.giuseppeconte.eu

(Intervista a cura di Roberto Maggiani)

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