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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Dante Maffia

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 28/07/2008 02:11:05

DOMANDA. Come si presenterebbe a persone che non la conoscono? Chi è Dante Maffia?

RISPOSTA.
Mi presenterei con un sorriso, guardando le persone negli occhi. Ma credo che lei voglia sapere che cosa direi sul mio essere scrittore. Ecco, dunque. Leggete qualcosa di mio, senza pregiudizi. Io nelle parole cerco di mettere il cuore. Se leggerete con attenzione e con complicità vi accorgerete che sono un grande poeta, un ottimo narratore. Lo direi senza presunzione, ma con la coscienza di chi si conosce e vuole distrarre gli interlocutori dall’ indifferenza.

DOMANDA. E’ indubbio, si evince guardando la sua bibliografia, che lei sia uno scrittore. Come ha iniziato a scrivere? In che occasione ha pensato per la prima volta di essere uno scrittore?

RISPOSTA.
Ho iniziato a scrivere fin da quando ero ragazzo. Piccoli componimenti in rima baciata. È stato un fatto naturale. A un certo punto ci si trova dentro senza accorgersene.

DOMANDA. Come è avvenuto che figure del calibro di Aldo Palazzeschi, Leonardo Sciascia e Dario Bellezza l’abbiano conosciuta e ritenuto uno dei più importanti poeti italiani?

RISPOSTA.
Aggiungerei anche i nomi di Claudio Magris, di Giuseppe Pontiggia, di Rafael Alberti, di Dacia Maraini, di Alberto Bevilacqua, di Giacinto Spagnoletti, di Tullio De Mauro, di Mario Sansone, di Nelo Risi, di Mario Luzi, di Giorgio Caproni, di Sergio Givone, di Remo Bodei,eccetera. Si tratta di scrittori che hanno una coscienza vera della funzione della scrittura, che quando hanno visto o vedono chi lavora seriamente lo dicono senza mezzi termini, non favoriscono, come si fa adesso per lo più, soltanto i “compari”.
La conoscenza con Palazzeschi è avvenuta perché l’ho cercato appena arrivato a Roma per frequentare l’Università. Era uno degli scrittori a cui guardavo da giovane. All’Università ho conosciuto Dario Bellezza che si iscrisse soltanto, senza concludere nulla. Sciascia, se non ricordo male, lo vidi la prima volta alla Libreria Rizzoli di Via Veneto (forse con Carlo Arturo Jemolo e con Diego Valeri) che adesso non esiste più. Poi le visite, gli scambi di lettere, gli incontri… le letture dei testi. Nulla di straordinario. Alla fine ci si incontrava anche senza volerlo, alla Libreria Croce di Corso Vittrorio Emanuele, nella sede di “Paese Sera”, a presentazioni di libri, a convegni, alla Feltrinelli di Via del Babuino.

DOMANDA. Chi sono i suoi maestri nella scrittura? Che cosa caratterizza la sua scrittura poetica rispetto ai poeti suoi contemporanei? Quali sono il filo conduttore e l’aria ispiratrice che fin dai primi versi l’accompagnano?

RISPOSTA.
I primi maestri sono stati mia madre, una vecchia del mio paese di nascita che intratteneva me e altri per ore e ore inventando storie infinite, un lontano zio che mi raccontava della prima guerra mondiale e un pecoraio che alla sera tornava al paese e ci portava il latte a casa. Questi mi raccontava le sue sensazioni, i sogni che faceva mentre la greggia pascolava. Poi ci sono stati libri fondamentali come Le mille e una notte, I Miserabili, La luce che si spense, Kim, per parlare delle prime letture. Più tardi ho scoperto Apuleio, Cervantes, Sterne, Rabelais e poi i russi (Gogol, Sologub, Cecov, Turgenev, Tolstoi), i latino americani (Scorza, Juan Rulfo, Borges) i giapponesi (Kobo Abe, Mishima, Soseki, Tanizaki, Kawabata) e Musil, Kafka, Lorca, Singer, Canetti… Ma non ho avuto mai maestri in senso totale; di ognuno ho preso ciò che mi coinvolgeva, mi illuminava, mi apriva la mente e il cuore, mi dava sostanza nuova. Man mano gli orizzonti si sono dilatati e a un certo punto sono arrivato alle generazioni di poeti e narratori italiani che mi hanno preceduto, con cui mi sono confrontato in maniera diretta. Dovessi fare dei nomi direi Saba, Quasimodo, Cardarelli, Sinisgalli, per la poesia, e Cassola, Berto, Bassani, Landolfi, Levi, Alvaro per la narrativa.
Che cosa caratterizza la mia scrittura poetica rispetto ai miei contemporanei? La chiarezza del dettato, la necessità della scrittura. Tranne qualcuno, adesso i miei contemporanei scrivono senza sentire, senza necessità, quella necessità rilkiana che fa morire se non ci si esprime.
Mi accompagna la vita, in tutte le sue espressioni, e mi accompagnano le radici che io metto sullo sfondo delle opere e da cui traggo alimento attualizzando le esperienze. Non esiste nessuna attualità, nessuna novità o rinnovamento senza il peso del passato, che naturalmente bisogna tenere a debita distanza e deve soltanto illuminare la coscienza del presente.

DOMANDA. Come avviene il processo di scrittura? Lei scrive di getto oppure rivede i suoi testi, sia nella forma che nei contenuti?

RISPOSTA.
Scrivo di getto, ma poi ritorno per mesi o anni sulla scrittura. Le macerazioni sono lente e lunghe, ma poi fioriscono celermente e nonostante le macerazioni, poi sento il bisogno di affinare, di approfondire. Pensi che qualche volta i versi, ma non solo i versi, arrivano ad affermate il contrario di ciò che hanno affermato alla partenza. Lavoro soprattutto nel togliere. Le parole non devono sprecarsi.

DOMANDA. Nel suo libro “Al macero dell’invisibile”, edito da Passigli, afferma “…s’approssima il tempo della tautologia…”, che cosa intende di preciso? Forse anche nella poesia si corre il rischio che tutto sia già stato detto?

RISPOSTA.
Sì, soprattutto per i superficiali, poeti e lettori, che credono che la poesia sia una qualsiasi notizia di giornale, senza alone di nessun genere. La ripetizione reiterata può diventare ossessione e l’ossessione ridursi a rintocchi funebri in cui si salmodia del vuoto. Ci sono troppi poeti accreditati oggi che non dicono nulla, che ripetono il bla bla televisivo e scimmiottano il vuoto e il niente o la precarietà della cronaca. Non è scimmiottando il vuoto e il nulla che si ottiene poesia, ma facendo toccare con mano il segno del nostro tempo vuoto e misero. La poesia non è una imitazione, ma una creazione, una innovazione dell’essere e quindi del linguaggio.

DOMANDA. Lei afferma, in una sua poesia, che “[…] // La poesia è una baraccopoli / nella quale cadono le stelle / e nessuno ci fa caso.” Che cosa intende dire?

RISPOSTA.
Più o meno quel che ho detto prima. Che si sta abbassando talmente il tono della poesia e la si sta riducendo a gioco effimero, o tutt’al più a battuta da cabaret; che si è arrivati al punto che non ci si accorge dei miracoli che ogni giorno accadono: il sole che nasce, per esempio.

DOMANDA. Da alcuni testi poetici si ravvisa la sua totale avversità alla guerra, è un tema che l’ha toccata in qualche modo in prima persona?

RISPOSTA.
Forse sono i racconti di quello zio che mi sono rimasti dentro. Io ero ragazzo e sentire che il Tagliamento una mattina era diventato rosso di sangue, mi ha troppo ferito… forse alcuni libri che mi hanno fatto toccare con mano la devastazione dell’uomo, a cominciare dal Diario di Anna Frank e finire a Se questo è un uomo di Primo Levi… Qualsiasi forma di violenza la trovo aberrante e anche inutile, ripeto, inutile! Figuriamoci le guerre.

DOMANDA. Quest’anno, per Mursia, ha pubblicato “Il poeta e lo spazzino”. Il libro è una raccolta di brevi racconti che ha per protagonisti gli uomini dell’Ama: gli spazzini – od operatori ecologici, o netturbini – di Roma. Leggo, dalla prefazione di Walter Veltroni: “Dai cassonetti emerge il mosaico di un’umanità amara e fragile persa nella frenesia di ciò che consuma, ma ancora capace di sogni, di emozioni”. Ce ne parla? Come è avvenuta la scrittura di questo libro, è forse dai personaggi che racconta e dai luoghi popolari dove vivono che nasce la necessità dei sogni più alti? Sembra che lei prenda le distanze dai palazzi, dalle ricchezze, dalle scelte gravi della politica e delle intellettualità, dove il passato sembra ripetersi in una noia mortale e priva di novità.

RISPOSTA.
La sua conclusione è molto vera. Da giovane ho fatto politica: era un rincorrersi di menzogne e di compromessi, anche tra persone che avevano senso civico ed etico. Tutto si guasta quando bisogna progettare il futuro degli altri e succedono cose troppo brutte, addirittura che sfuggono di mano.
Il poeta e lo spazzino è nato in seguito ad esperienze fatte proprio con alcuni spazzini di Roma, burloni, giocosi, ironici. Poi è bastato che mi guardassi attorno per scoprire che il mondo non ha una sola faccia e un solo cuore.

DOMANDA. Lei collabora a varie riviste e per anni ha curato la rassegna dei libri per RAI2, quali sono gli spazi dedicati, in questi luoghi “istituzionali”, agli autori poco conosciuti e all’editoria piccola e media?

RISPOSTA.
Purtroppo gli spazi dedicati all’editoria piccola e media sono residuali. Ci si occupa dei libri delle grandi case editrici non per scelta dei redattori o dei direttori, ma perché altrimenti le grandi case editrici non danno più la pubblicità. Solo se c’è in atto uno scoop allora si mettono in moto le forze malefiche della notizia. Le edizioni Lepisma hanno pubblicato le poesie di Maria Marchesi che nel 2004 ha vinto il “Premio Viareggio”e hanno pubblicato un libro di Tommaso Pignatelli in dialetto napoletano. Si è detto che Pignatelli forse potrebbe essere il Presidente della Repubblica. Allora a quel punto tutte le testate hanno scritto di Pignatelli; e della Marchesi perché aveva vinto un premio così prestigioso e prima non aveva mai edito un solo verso.

DOMANDA. Quali sono le sue letture preferite? C’è un autore che reputa il suo preferito?

RISPOSTA. Ho già fatto alcuni nomi. Comunque anni fa, preso dalla furia delle continue letture, non avrei mai fatto un unico nome. Ho detto che di ogni scrittore mi piace qualcosa.. Ogni autore dà sempre qualcosa di utile. Ma oggi direi senza ombra di dubbio Elias Canetti. Sono arrivato a questa conclusione dopo essermi posto questa domanda: “Sarei in grado oggi di scrivere un libro come Lo straniero di Camus? come Shosha di Singer, come La morte di Virgilio di Broch, come I racconti di Dublino di Joyce? Si badi che sono stati libri a cui mi sono abbeverato. E ho risposto che sì, sarei in grado. Poi ho aggiunto se sarei in grado di scrivere Auto da fe’ di Canetti. Mi sono sentito perduto. Per me questo libro è in prosa quello che è la Commedia di Dante in poesia.

DOMANDA. Nella sua veste di scrittore che consiglio darebbe a chi scrive su larecherche.it, condividendo online i propri testi, in relazione allo scrivere? E come lettore?

RISPOSTA.
I consigli sono sempre pericolosi e fedigrafi, direbbe Machiavelli, ma credo di non potermi sottrarre alla domanda. Dico quindi che la libertà portata dal computer è un bene immenso. Finalmente può avvenire la conoscenza e a costo irrilevante. Lei pensi che durante gli anni di Stalin non erano permessi neppure a tutti gli elenchi telefonici in URSS. Perciò mi piace che uno apra la sua “scatoletta” e ci trovi il mondo e se lo ritagli a proprio piacimento. Non ci sono più ostacoli e dunque trovo importante poter scambiare, senza che si venga travisati, i propri testi. C’è il rischio che senza filtri di nessun genere si finisca per avere online una marea indistinta di versi e quindi impossibile da arginare e da scegliere. Ma ormai i filtri non esistono neanche più nelle case editrici, non esistono più né Pavese, né Calvino, né Niccolò Gallo, né Giuseppe Ravegnani, né Vittorio Sereni, né Giacinto Spagnoletti, né Giancarlo Vigorelli che hanno fatto grande il secolo della poesia italiana con le loro scelte. E allora ben venga lo tsunami. Chi avrà la giusta educazione per recepire il bello e il buono si salverà. Il resto annegherà nel mare uniforme delle pretese e dell’aridità. Ma credo che larecherche.it non si abbandoni al tutto e sappia arginare.
Come lettore sono pessimo. Sono troppo abituato alla carta stampata. È una emozione sentirne la consistenza, l’odore. Io appartengo alla zoologia dell’analogico e non del digitale, anche se del digitale ne vedo e ne constato tutti i benefici.

DOMANDA. Molte persone si dilettano a scrivere testi di narrativa e poesia e vi sono case editrici che, approfittando del desiderio di molti di vedere stampate le proprie opere, pubblicano qualunque testo dietro compenso. Che cosa ne pensa di questo atteggiamento? Secondo lei è necessario arrivare alla pubblicazione su carta stampata per essere annoverati tra gli scrittori?

RISPOSTA.
Essere annoverato tra gli scrittori è un desiderio che chi ce l’ha se lo gode e opera in quella direzione come può. Il problema non è di essere annoverato o meno. E non c’entra la carta stampata o il computer. Ognuno ha diritto di tendere alla propria realizzazione, con tutti i mezzi leciti. Se poi sia uno scrittore perché ha pubblicato, non so. Uno scrittore dovrebbe incidere con le sue parole sul cuore e sulle menti dell’uomo e restare un punto fermo anche dopo il suo tempo. Ma tenga presente che enciclopedie importanti non registrano neppure il nome di alcune prestigiose firme e le case editrici che dovrebbero avere il compito non solo di fare soldi (parlo delle grandi case editrici), ma anche di proteggere il patrimonio intellettuale, culturale e poetico, lasciano nel dimenticatoio opere e autori che ancora potrebbero dire la loro. Ormai sono troppi gli autori importanti che non esistono. Il nostro tempo va verso la smemoria, come disse qualcuno, e senza memoria il baratro è già apparecchiato…

DOMANDA. Dopo “Il poeta e lo spazzino” che cosa aspettiamo? Poesia o narrativa? Che progetti ha?

RISPOSTA.
Non scrivo poesie (se si escludono due brevissimi testi dell’agosto 2007) dal febbraio del 2004. Una scelta per vari motivi, primo fra tutti quello di arginare e di punire un po’ la mia vena naturale. Ma ho raccolto le poesie trovate (davvero trovate per caso in mezzo a libri e carte varie) a cominciare da quando avevo sedici anni circa. Sono molti testi. Molti altri li ho eliminati. Ci sto lavorando da più di due anni, in maniera maniacale, cercando di puntare all’essenziale. Li pubblicherò come ultima opera di poesia.
Invece in narrativa sono in ebollizione. Ho centinaia di racconti e almeno tre o quattro romanzi nel cassetto. Anche su questi però bisogna che lavori col bulino e con la pazienza del certosino. E poi mi piacerebbe raccogliere le centinaia di pagine (elzeviri, saggi, profili, recensioni) dedicate alla Calabria e ai calabresi, oltre a pubblicare almeno due o tre grossi volumi che raccolgono saggi, recensioni e relazioni ai convegni riguardanti autori come De Sanctis, Carcano, Capuana, Tasso, Campanella, Isabella Morra, Deledda, Goldoni… Chissà… forse resterà tutto nel cassetto o forse avrò una esplosione. Non ho fretta, ormai credo che il tempo non esista e ne sono felice.


Il sito ufficiale di Dante Maffia è www.dantemaffia.com

(Intervista a cura di Roberto Maggiani)

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