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Giovanni Paolo II e la scienza

Argomento: Scienza e fede

di Roberto Maggiani
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Pubblicato il 30/04/2011 12:00:00

Riporto qui un mio vecchio articolo pubblicato sulla rivista Città nuova il 25 maggio 2005. Alcuni miei pensieri, riguardo al rapporto scienza/fede, si sono, da allora, modificati, evolvendosi sia in seno al mio rapporto con la scienza che con la fede, ma in linea di massima le riflessioni di base rimangono le medesime. Mi piace qui mettere in evidenza il tentativo di Giovanni Paolo II di creare un terreno di dialogo tra due aspetti che, volenti o nolenti, hanno a che fare con l'uomo, con noi tutti.

*

Un connubio possibile
pubblicato su Città nuova, 25/05/2005


Il Papa che ha saputo ricomporre lacerazioni storiche in seno all’umanità e alla chiesa stessa, ha dato un contributo essenziale al superamento della contrapposizione tra scienza e fede. 
Fin dai primi anni del suo pontificato, Giovanni Paolo II si è prodigato per superare malintesi che hanno storicamente contrapposto scienza e fede. Egli aveva un vero amore per la verità che si esprime nelle sue varie forme, sia nell’ambito della natura, di cui si occupa la ricerca scientifica, che nell’ambito dello spirito, ambito di pertinenza della teologia.
Ricerca scientifica e religione, scienza e fede: due sfere della conoscenza che nel corso della storia hanno dato origine a facili incomprensioni, quando non si è tenuto conto del fatto che le diverse discipline del sapere richiedono altrettanta diversità di metodi. Ecco che cosa disse a tal proposito il Santo Padre in un discorso tenuto il 31 ottobre 1992 alla Pontificia Accademia delle Scienze: Esistono due campi del sapere, quello che ha la sua fonte nella Rivelazione e quello che la ragione può scoprire con le sole sue forze. A quest’ultimo appartengono le scienze sperimentali e la filosofia.
La distinzione tra i due campi del sapere non deve essere intesa come una opposizione.
I due settori non sono del tutto estranei l’uno all’altro, ma hanno punti di incontro. Le metodologie proprie di ciascuno permettono di mettere in evidenza aspetti diversi della realtà.
Ancora oggi, nel pensiero popolare, ma ancor peggio in quello di molti esponenti della cultura, rimane una sorta di strano stupore quando si sente parlare di scienziati credenti, come se scienza e fede non potessero andare d’accordo.
Di tale impossibile connubio viene preso a pretesto il caso Galilei*, diventato una sorta di simbolo del preteso rifiuto, da parte della Chiesa, del progresso scientifico, e dell’oscurantismo dogmatico opposto alla libera ricerca della verità. È sull’onda di questa vicenda che molti uomini si sono come ancorati all’idea che ci sia incompatibilità tra lo spirito della scienza da un lato e la fede cristiana dall’altro.
Giovanni Paolo II espresse tale concetto in questi termini: Una tragica reciproca incomprensione è stata interpretata come il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede.
E fu proprio papa Wojtyla il primo promotore di una commissione pontificia, istituita il 3 luglio 1981, per lo studio della controversia tolemaico-copernicana del XVI e del XVII secolo, nella quale il caso Galileo si inserisce, per fare luce su errori e responsabilità nelle vicende che provocarono molto patimento all’uomo Galilei.
A dimostrazione della profonda analisi che a tale proposito Giovanni Paolo II avviò in seno alla Chiesa cattolica, ecco che cosa disse in un suo discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze: L’irruzione di una nuova maniera di affrontare lo studio dei fenomeni naturali (riferendosi al metodo scientifico introdotto da Galileo Galieli) impone una chiarificazione dell’insieme delle discipline del sapere [intendendo qui in particolare scienza e teologia]. Essa le obbliga a delimitare meglio il loro campo proprio, il loro angolo di approccio, i loro metodi, così come l’esatta portata delle loro conclusioni.
In altri termini, questa novità obbliga ciascuna delle discipline a prendere una coscienza più rigorosa della propria natura....
E ancora a riguardo dell’interpretazione delle Sacre Scritture: Nel secolo scorso ed all’inizio del nostro, il progresso delle scienze storiche ha permesso di acquisire nuove conoscenze sulla Bibbia e sull’ambiente biblico. Il contesto razionalista nel quale, per lo più, le acquisizioni erano presentate, poté farle apparire rovinose per la fede cristiana. Certuni, preoccupati di difendere la fede, pensarono che si dovessero rigettare conclusioni storiche seriamente fondate. Fu quella una decisione affrettata ed infelice... È un dovere per i teologi tenersi regolarmente informati sulle acquisizioni scientifiche per esaminare, all’occorrenza, se è il caso o meno di tenerne conto nella loro riflessione o di operare delle revisioni nel loro insegnamento.

Non è facile dimenticare la forte emozione di quando mi trovai alla presenza del Santo Padre nel momento storico in cui pronunciò il suo discorso, in favore della riabilitazione di Galileo, dal Ponte di Mezzo sull’Arno, a Pisa, a poche centinaia di metri dalla casa natale di Galileo. Per me, all’epoca studente di Fisica presso quell’Università, fu un’esperienza indelebile, non scevra di lacrime. Era il momento storico della rappacificazione tra la mia, e di molti altri, vocazione alla scienza e la vocazione di cristiano [...].
Ma che cosa è la scienza per un uomo di fede? Non è facile dare risposta a una simile domanda, tuttavia possiamo prendere come spunto una linea di pensiero [...], espressa dalle parole dello stesso Giovanni Paolo II.
Il Pontefice afferma che gli scienziati, che si impegnano nella ricerca scientifica e tecnologica, dovrebbero ammettere, come presupposto del loro itinerario di ricerca, l’esistenza di un ordine nel cosmo e di leggi naturali che si lasciano apprendere e pensare, e che hanno pertanto una certa affinità con lo spirito. Egli afferma la necessità di un concomitante approfondimento della coscienza dell’uomo, onde evitare uno sviluppo scientifico e tecnologico che resti totalmente esterno all’uomo. Esiste infatti, secondo papa Wojtyla, un duplice genere di sviluppo: il primo è orizzontale e comprende la cultura, la ricerca scientifica e la tecnica, e che si accresce con un ritmo impressionante; il secondo è invece verticale e concerne quanto c’è di più profondo nell’essere umano che si volge verso Colui che è il Creatore di ogni cosa e che dà senso all’essere e all’agire dell’uomo.
Lo scienziato che prende coscienza di questo duplice sviluppo e ne tiene conto contribuisce al ristabilimento dell’armonia universale.
Oltre al caso Galilei, scienza e fede hanno avuto altri momenti e temi di confronto di non facile risoluzione, vengono infatti alla mente, la teoria dell’evoluzione e la moderna genetica e altri temi sui quali lo studio scientifico e quello teologico sono chiamati ad esprimere il loro pensiero, ogni disciplina nel suo ambito specifico. In ogni caso l’importante è pensare sempre che il vero non può contraddire in alcun modo il vero (papa Leone XIII nell’enciclica Providentissimus Deus) e che insieme, ricerca scientifica e teologica, possono dare la completezza della conoscenza.
Qualora si sviluppasse eccessivamente il pensiero scientifico orizzontale, senza un pari sviluppo verticale dello Spirito, si entrerebbe in una grave crisi per l’umanità che perderebbe il senso del suo vero essere spirituale riducendosi a mera materialità.



* IL CASO GALILEI

È sintomatica la vicenda di Galileo, sul quale papa Wojtyla ha spesso riportato l’attenzione della chiesa e del mondo della cultura in ogni suo discorso in temi di scienza.
Nato a Pisa nel 1564, Galileo Galilei è stato il padre della fisica e astronomia moderna. Dal 1589 al 1592 insegna matematica all’università di Pisa, e dal 1593 al 1610 a quella di Padova. È il periodo più affascinante e produttivo della sua vita che lo vede utilizzare per la prima volta il telescopio per osservazioni scientifiche. Con esso scoprirà la costituzione della Via Lattea, le montuosità della Luna, le macchie solari, le fasi di Venere e di Mercurio, i quattro satelliti di Giove e l’anello di Saturno, tutte scoperte astronomiche fondamentali che egli rivela nel Sidereus Nuncius (1610).
Le sue scoperte vengono accolte con entusiasmo dal papa Paolo V e dalla curia vaticana; ben presto, però, sin dal 1612, gli aristotelici che difendono il sistema tolemaico o geocentrico (la Terra ferma al centro dell’universo) si oppongono alle teorie di Galileo e al sistema copernicano o eliostatico (la Terra si muove intorno al Sole) in quanto pensano che contraddicano direttamente la Bibbia nella sua visione dell’universo.
Nel 1616 il Santo Uffizio condanna l’ipotesi copernicana e ammonisce Galileo a non pubblicizzare tali dottrine.
Egli comunque, convinto dell’indipendenza della scienza dalla fede, sostiene con ancor più vigore le sue tesi nel Saggiatore (1623) e poi nel Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo (1632).
Convocato a Roma nel 1632 davanti al tribunale dell’Inquisizione e sottoposto a logoranti interrogatori, è costretto ad abiurare le proprie convinzioni. Nel 1633, riconosciuto colpevole di eresia, Galileo viene condannato all’ergastolo, pena commutata negli arresti domiciliari ad Arcetri (Firenze).
Solamente nel 1757 la Congregazione del Sant’Uffizio riabiliterà la sua figura riconoscendo l’evidenza dei fatti scientifici da lui dimostrati.
1979: Giovanni Paolo II chiede la revisione del Caso Galilei, ritirando nel 1992 la condanna allo scienziato; pubblicamente egli riconosce la validità e verità scientifica delle sue teorie e chiede scusa, da parte della chiesa, per avere ingiustamente condannato non solo il fondatore della scienza moderna ma indiscutibilmente una delle menti più geniali dello scorso millennio.


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