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Alceste De Lollis: poeta tra dolore e speranza

Argomento: Letteratura

di Annarita Di Paolo
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Pubblicato il 25/11/2011 12:40:24

“La mia favola ècompita, il mio dramma è all’ultimo atto, anzi, all’ultima scena, dopo la quale calato per sempre il sipario non avrò più a temere o a sperare fiasco od applausi in questo mondo. La morte è un passo che tutti aspetta; ed io sono sulpunto di toccarlo giù”.

E’ con queste delicate e profonde parole che l’illustre letterato e filosofo Alceste Tito De Lollis descrive il suo malinconico stato d’animo durante il dialogo con il tipografo, riportato nella sua celebre opera“Ricordi poetici” edita nel 1887.

Nell’anno in cui egli restituisce le sue spoglie mortali a Madre Natura a causa di “un morbo crudele,che tra spasmi atroci ed acerbi dolori” lo consuma lentamente, lo scrittore abruzzese decide di pubblicare i suoi componimenti poetici al fine di donare ai suoi figli, ai suoi amici e a coloro che leggeranno tale opera nei momenti d iozio e di noia “un qualche sollievo, un breve passatempo”.

La genesi della sua ultima opera, che egli definisce sua “prole spirituale”,  è piuttosto singolare: si tratta di una raccolta di memorie e documenti su fogli bianchi che all’origine furono cuciti dallo stesso autore e che poi furono trascritti su un librazzo, ovvero su un voluminoso quaderno così denominato “per la rozza rilegatura e per la rozzissimacarta, non segnata neppure di un rigo da andarci sopra colla penna”. E’ una vera e propria autobiografia che permette al lettore attento di esplorare imeravigliosi meandri della sua nobile anima e di fruire dei suoi segreti e soavi ricordi.

Affascinante scrittore dalla misteriosa personalità ebbe un’esistenza contrassegnata da diverse difficoltà di natura economica ed esistenziale, tanto da definirsi “un uomo non povero d’ingegno per natura, ma posto in contrasto colla fortuna, quasi caduto fuor di luogo, non so se per errore della prima, o per malignità della seconda; onesto, ma sventurato; sofferente sempre, che senza invidia ai beati della terra, ama di preferenza i sofferenti, disposto a sentire ed a ritrarre idolori altrui non meno che propri”.

Nato il 28 febbraio 1820 a Fallo, un piccolo paese della provincia di Chieti, dal Medico Cerusico Don Nicola De Lollis e Maria De Lollis, il critico letterario studiò al seminario della città teatina dove ebbe come maestro Don Livio Parladore, “ottimosacerdote ed insegnante efficacissimo, che sapeva eccitare e mantenere il fervore degli studii”. Il 1839 fu un anno molto particolare: il 16 ottobre apprese la notizia della morte del padre ed il 4 novembre quella della madre.

L’anno successivo la famiglia De Lollis fu colpita da un altro lutto: la prematura perdita del fratello maggiore, “giovane d’ingegno, di buoni studii, di buonissima volontà e d’incorrotti costumi” che “colto precedentemente da lento morbo, sentì aggravarsi il male dopo la perdita dei genitori, e non poté ad essi più a lungo sopravvivere”.

Dal 1843 fino al 1848 Alceste De Lollis visse a Lama de’Peligni, in provincia di Chieti, dove ricoprì il ruolo di istitutore privato presso la nobile famiglia di Nicola Madonna, “cittadino distinto, colto e dotto giureconsulto, italiano liberalissimo”. Durante tale periodo, precisamente il 15 agosto del 1843, apprese la morte di una delle sue sorelle e chiese ai coniugi Madonna di potersi ritirare per pochi giorni nella loro casa di campagna al fine di vivere e “digerire nella solitudine campestre questo nuovo lutto domestico”. Lo stesso giorno della triste notizia compose la poesia “In campagna con un vecchio contadino” in cui fece una delicata e filosofica riflessione sulla condizione umana. La vista di un contadino “curvo, lento, stanco oppresso sotto il peso dell’età”  e “dalla marra consumato” per De Lollis è, infatti, fonte d’ispirazione per la meditazione sulla sua condizione esistenziale che, come un pendolo, oscillava “tra le tombe e le sciagure”. L’uomo agreste, pur essendo provato dalla fatica fisica e dalla senilità, “sente in core il piacere della vita” e mostra “ridente la pupilla d’una interna voluttà”. Egli, invece, sussurra al suo intimo queste emblematiche parole: “Ed io verde negli anni, ne la bella giovinezza, quando schiuso ai dolci affanni il cor destasi all’ebbrezza, senz’amore, senza affetti vivo giorni maledetti, vivo solo al disperar”. Ilsuo dialogo interiore si presenta agli occhi dell’autore come un quadro senza tela dalle tinte oscure: “Ma una lampada morente, una pianta inaridita, ma deserta, ma tacente scura valle è la miavita, cupo abisso, immenso voto, in cui regna eterno immoto solitario il mio dolor”.

Il doloroso ricordo per la perdita dei membri della sua famiglia d’origine viene espresso anche nella dimensione onirica dello scrittore, il quale scrive: “Son miei sogni orrende forme, i miei sogni son le tombe, sono squallide figure, genti oppresse da sventure, contristata umanità”. Il soliloquio è ambientato nella meravigliosa campagna abruzzese dove si può ascoltare il dolce canto del vento e osservare la limpida luna che allieta con la sua presenza il notturno cielo, una luna che diviene l’interlocutrice del poeta: “E tu lieta in tuo chiarore non ti celi ancora, o luna? Sol mi lascia nell’orrore d’una notte bruna bruna tra le tombe e le sciagure, fra le squallide figure tra l’oppressa umanità”.

Il temperamento malinconico di Alceste De Lollis trova una ragionevole spiegazione nella sua particolare esistenza e nella prematura morte dei suoi familiari, infatti, in una nota relativa al componimenti poetico summenzionato egli afferma con profonda sincerità: “Forse fui da natura disposto a malinconia; ma le tinte malinconiche sono ben diverse dalle tetre ombre, che in parecchie di queste mie poesie, in quelle che più riguardano me personalmente, mostrano un animo funestato. Ciò si spiega colle dolorose ed irreparabile perdita, onde fui colpito nella mia prima giovinezza”.

Il periodo trascorso presso la famiglia Madonna fu particolarmente importante per il filosofo fallese, sia dal punto di vista della crescita personale che della produzione artistica. Durante quegli anni, infatti, egli scrisse numerosi versi per sublimare il suo profondo dolore e la sua struggente solitudine che era diventata, ormai, compagna d’ogni giorno. Nel1845 Alceste De Lollis compose una splendida poesia dal titolo “L’Usignuolo” in cui immaginò di dialogare con questo uccello “degl’infelici amico” a cui confidava i segreti della sua umile anima. Un tempo il suo soave canto era gradito al letterato, quando il cuore “traboccante d’affetti in un sospiro scoppiava!”… dopo la morte dei suoi cari, invece, esso diventò un “eco lugubre di funesto passato”. La sua presenza, infatti, risveglia nel poeta la sofferenza che egli esprime in questi emozionanti versi: “Oltre il confine d’esta vita deserta il mio pensiero tra le nere di morte ombre si caccia ed alle tombe de’ miei cari estinti fugge atterrito dall’infausto mondo, in quelle fredde ceneri chiedendo all’agitarsi del mio petto pace”. Per Alceste De Lollis l’usignuolo è, però, anche simbolo della rinascita a nuova vita e speranza in un futuro migliore in cui poter esprimere le proprie potenzialità artistiche e letterarie. La sua esistenza, infatti, conobbe una svolta evolutiva all’alba del 3 dicembre1847, quando lo scrittore fu nominato Professore di Filosofia naturale e Matematiche sintetiche nel Real Collegio de L’Aquila dal Governo costituzionale. Gli anni successivi furono particolarmente fiorenti per lui: dal 1852 al 1860 ricoprì la carica di Patrocinatore presso il Tribunale di Chieti; nel 1860 fu Ufficiale di  carico nel Dicastero della Polizia di Napoli, Caposezione nel Ministero della Pubblica Istruzione, Delegato al riordinamento degli studi in Abruzzo, Preside del Liceo di Chieti e dal 1865 al 1876 in quello de L’Aquila. Fu Provveditore a Chietifino al 1877, anno in cui passò a Teramo.

Alceste De Lollis, padre dello scrittore Cesare De Lollis, ricordato come celebre filosofo giobertiano, cittadino onesto ed attivo, fu legato a varie personalità risorgimentali del liberalismo meridionale,tra cui: SilvioSpaventa, Bertrando Spaventa, LuigiSettembrini e Vittorio Imbriani.

Oltre alla sua attività di patriota del Risorgimento è ricordata la sua attività di letterato forbito ed elegante che lo portò ad avere rapporti di amicizia con illustri studiosi della sua epoca, tra cui: Niccolò Tommaseo, Alessandro Manzoni e la poetessa teramana Giannina Milli.

Se, dunque, la giovinezza dello scrittore fu segnata da dolori che lacerarono la sua sensibile anima, la sua vita da adulto conobbe momenti di intensa gioia perle mete raggiunte.

Egli trovò un dolce conforto nella natura, che donava alla sua mente intensi silenzi che stimolavano la riflessione filosofica, e nell’intima fede in “Colui che tutto muove”.

Alceste De Lollis fu un letteratodalla misteriosa personalità, uno spirito che visse “d’un alterno moto tra la speme e l’timor”, un uomo che seppe apprezzare la vita con le sue infinite sfumature, con le sue luci e le sue ombre… Un illustre filosofo che concluse il suo testamento spirituale con queste emblematiche parole: “E quando, o per lo spettacolo delle cose umane, o per l’età cadente, o per altra cagione vi accadranno delle ore malinconiche, ricordatevi qualchevolta di me, e sollevando il pensiero da questa terra al cielo, innalzate a Dio una preghiera pel vostro moribondo o morto amico”.


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