Scivolano le tavole sulle onde
gonfie di libeccio, le vele tese
s’intrecciano sul mare, lontano
le isole, le navi al porto di Livorno.
Scivola lo sciame dei ricordi,
la colonia è una nave arenata
fra le dune e il viale a mare,
la torre dell’acqua domina
le chiome dei pini e dei lecci,
segno scolpito del fascio.
Galleggiano nell’aria i simboli
del regime, danzano in cerchio
vecchi fantasmi in camicia nera,
architetti e direttrici boriose,
maestre i fischietti a la bocca.
Bambini vocianti
irrompono sulla spiaggia:
io sono un punto, la testa rapata
su due grandi occhi celesti.
Rivive la valigia di cartone, il corredo
(quattro mutande, il costume,
tre magliette e un cappello),
la camerata di trenta letti.
Ascolto il canto di cinquecento
ragazzi schierati sul piazzale,
rivedo gli occhi della mamma,
sento gli altoparlanti urlare dai tetti
la vittoria di Bartali a Briançon.
Riconosco il suono del vento,
le raffiche s’infilano nei corridoi, scuotono
le porte delle camere, una ad una.
Il cartello sulle dune annuncia
la prossima vendita, mostra il villaggio
e la torre dell’acqua.
Le tavole rientrano dal mare,
la colonia si innalza come prua della nave,
sul ponte di comando
sta per apparire il Comandante
per annunciare le sorti del mondo.
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