Emilio Capaccio
- 31/05/2013 14:04:00
[ leggi altri commenti di Emilio Capaccio » ]
“ Uno specchio offuscato nella stanza. Oltre, non c’è che nebbia di occhi. Né da altri sono vista. ”
Non esiste essere vivente al mondo che sappia osservarti e desumere dall’osservazione la tua vera natura, quella più profonda, quella più autentica, e costruire, dalla medesima osservazione, una definizione di te, conglomerante, esaustiva, oggettiva, immutabile; neanche le persone che credi ti conoscano più a fondo, quelle più vicine, e nemmeno lo specchio attaccato all’armadio ti conosce, anche lui ti inganna perché in esso tu vedi di te stessa quello che vuoi vedere e lui riflette passivamente quello che tu credi di aver visto, perciò neanche tu conosci a fondo Loredana Savelli; nessuno di noi si conosce tanto da poter dire: “io sono…”, né tanto meno altri possono dire di conoscerci: quante volte ci sorprendiamo a fare cose che mai avremmo creduto potessimo fare? O a non fare una cosa che eravamo certi di voler fare? Gli stimoli, le provocazioni, gli incitamenti, i rovesciamenti di fronte nella vita sono così plurimi, svariati, imprevedibili, destabilizzanti, che nessuno può permettersi di affermare: “io mi conosco!”, senza cadere nella trappola illudente di assumere a propria ragione un falso o pregiudizievole assioma; in fondo ognuno di noi, degli altri non conosce con certezza che il nome all’anagrafe. Quelli che eravamo nel tempo di ieri, non siamo nel tempo di oggi e già stiamo cambiando o ci prepariamo a cambiare nel tempo di domani.
“ La vicina ha chiuso la porta che avevo spalancato. Mugugni e sguardi stornati, e si esce in orari diversi. ”
La signora del porta accanto, richiudendo la porta che tu avevi lasciato aperta per lei, vive la sua solitudine, forse anche dignitosamente. Ha scelto liberamente di starsene da sola ad annaffiare sul balcone i suoi gerani, come un uccello che sceglie di morire in gabbia, perché crede forse che in quel gesto ci sia tutto il significato della propria esistenza. Non sentirti ferita dal suo diniego, magari tu, un giorno, potresti fare lo stesso. Potresti chiudere a qualcun altro la porta che aveva lasciato aperta per te (forse anche lui abita sul tuo stesso “pianerottolo”). Potresti innalzare anche tu una fortezza inespugnabile perché sentiresti di essere diventata fragile o offesa: chi edifica mura intorno alla propria vita, senza ingressi o feritoie, chi ti mostra diffidenza, distacco o peggio ancora, impassibilità, sono sempre le persone più fragili e più deboli, non dimenticarlo, quelle a cui hanno sbattuto la porta in faccia troppe volte nella vita che adesso non basta più semplicemente scorgere sulla soglia il tuo viso pulito per decidere di venire a prendere un caffè a casa tua, cioè non vogliono, non possono, più fidarsi di quelle “porte aperte”, attraverso le quali poi sono stati frettolosamente sbattuti fuori, scegliendo l’inoffensività del silenzio o della solitudine.
“ Devia la luce sull’antica ruggine, penombra è come dire silenzio.”
E’ a partire da questi versi, che gli ingranaggi stritolanti dei pensieri si mettono in moto. Il momento della percezione delle cose, degli umori, di una certa intensità della luce nella stanza, lascia spazio e tempo alle temute, inevitabili, redivive considerazioni o cupi presentimenti: di fronte ad uno specchio che in fondo non ci riflette, ad un oscuro senso di isolamento, alle persone (molto spesso quelle che crediamo essere più vicine a noi) che hanno richiuso la porta che avevamo spalancato per loro, si acuiscono le ruggini preesistenti, perché è vero che in cuor nostro ci sono sempre state, ma è pur vero che tali incrostamenti si estendono prodigiosamente se si versa sopra nuova acqua e la si fa asciugare per giorni e giorni, come certe malattie della pelle che non passano mai, si attenuano durante lunghi periodi di latenza per poi riacutizzarsi in certi momenti o con certi nostri stati d’animo.
“ Riprendono a cantare a mezzogiorno: sotto un cielo più mite di ieri, non consola udire dal mattino lo stesso trillare di merli, passeri e fringuelli. ”
Si ritorna (quasi come reazione per proteggere noi stessi da queste delusioni, disaffezioni o presa di coscienza), ad aver bisogno, pretendere, sentire un contatto con l’ambiente esterno: fuggire dalle nostre congetture, dalla stanza, dal pianerottolo, dal condominio, dalla signora che annaffia i gerani, dallo specchio che ci osserva irridente, dalla città, da tutto quello che più sembra opprimerci, per soffermare la nostra attenzione, per esempio, sul canto degli uccelli di quest’oggi, radioso più di ieri. Ma benché bella la giornata tra i rami, anche loro non sembrano cantare come prima. In realtà ti sbagli, ci sbagliamo tutti! cantano, si, più gioiosamente, qualcuno là sotto, per le strade, qualcuno che è veramente libero o più insensibile, ce lo può testimoniare con certezza, siamo noi, sei tu, c’è qualcosa in te che non ti fa più sentire quanto essi, oggi, siano felici!
Ciao Loredana
|