Gian Piero Stefanoni
- 21/02/2014 12:39:00
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PER PLINIO PERILLI, PEI SUOI- NOSTRI- BRIVIDI AL SOLE.
Quale oro delle ferite ci consegna per mani tremanti, ancora, tra il gelo e la rivelazione, Plinio, dal minuscolo propagato all’Immenso? Che il canto è nostro, certo, ma che per alzarlo, forse, lo dobbiamo salvare, destare quaggiù.
Sì ma da quale nota che mai più s’aspettava? Da quale sguardo? Non dal pensiero, che non ci libera; non dall’ irriflesso che la nostra materia trattiene per mortificazione perduta. Allora, un ricordo, la propagazione di un’eco nell’unità di quel salto che sulla neve rammenta la terra venendo dal cielo.
Buffo davvero il Sublime che torna a noi volendoci piccoli per sacramento perfetto. Ci consegna alla luce delle icone frugando con alette il giardino, al giardino ribattezzando speranza se l’anima volge all’insieme nello sguardo già risanato.
“Non c’è dolore in cielo, tu lo salvi quaggiù”, conclude Plinio, chiamando, levando il coro per noi. Lo Spirito è nella meraviglia annunziata, pettirosso, colomba, misericordia che finalmente- e per sempre- ci darà un nome poi nella Pasqua.
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