Angelo Ricotta
- 01/12/2017 07:24:00
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Diceva Ungaretti che "la poesia è poesia quando porta in sé ovvero contiene un segreto".
Credo che possa essere utile a questo dibattito una raccolta di miei interventi inseriti in una discussione tenutasi in un filone intitolato "Come scrivere poesia" tra lultima decade di luglio e la prima di agosto del 2010 sul forum del sito Scrivere.info.
http://www.scrivere.info/community/forum/index.php/topic,2946.0.html
Di seguito i miei interventi.
La storia non si ferma. Sono passati più di duemila anni da Orazio, nel frattempo lumanità ha prodotto un bel po di cose in più rispetto a quei classici, nel bene e nel male. Tanti eventi sconosciuti a quei classici hanno portato le persone e gli artisti verso altre direzioni, ad esplorare altre possibilità, altrimenti ci si sarebbe potuti fermare ad Omero, perché ad Orazio? Daltronde non si può mica passare la vita a recitare, vedere, suonare sempre le stesse cose! Io amo i classici come la modernità e ancora di più il futuro perché penso che il meglio sia ancora da venire. Ovvio non tutto il moderno è buono, come anche allepoca dei classici i più non sono diventati tali. Comunque io amo anche quei misconosciuti che la storia ha cancellato ma dei quali, fortunosamente e fortunatamente, ho potuto apprezzare qualche opera. Non tutto ciò che rimane nella storia è il meglio, la storia è turbolenta, capricciosa, fatta anche di mode, anche ingiusta.
Rispondo a Francesco Pozzato. Calliope, ovvero colei che ha bella voce, era solo la musa della poesia epica, Erato era quella della poesia amorosa e si accompagnava con la lira, Euterpe della poesia lirica e saccompagnava col flauto e così via...Come vedi nellantichità la distinzione tra poesia, musica e recitazione non era così definita. Daltronde proprio Manocchia aveva riportato nel topic "Che cosa è Arte?" http://www.scrivere.info/community/forum/index.php?topic=2934.msg40269#msg40269 la prefazione al Dorian Gray dove si afferma tra laltro "Dal punto di vista formale il modello di tutte le arti è larte del musicista. Dal punto di vista del sentimento il modello è larte dellattore." E allora? Comunque si stava parlando di poesia e di prosa con immagini poetiche, entrambe arti della parola, ed io sostenevo e sostengo che non cè sostanziale differenza. Per quanto riguarda i moderni e chi lha detto che rinnegano i classici? I grandi poeti moderni erano e sono dei profondi conoscitori dei classici ma sono anche delle persone creative che non vogliono passare la vita ad imitarli, a fare i manieristi, e perciò tentano altre strade, anche perché il tipo di sensibilità si è profondamente trasformato nel tempo. I classici non avevano certo esaurito tutte le possibilità, anzi ne avevano sviluppate solo alcune! Infine non trovo analogie tra il Satyricon e lUlisse di Joyce. La prima è sostanzialmente unopera comico-satirica di contenuto licenzioso volta a divertire, mentre la seconda, benché modellata formalmente sullOdissea, riguarda il rapporto conflittuale tra lindividuo e la società e persino con se stessi. Tuttaltra tematica, tuttaltro scopo.
Per il notturno Francesco su Virgilio e Ungaretti. Peccato che ci sia la luce elettrica altrimenti ti avrei visto bene al lume di fumose candele intingere la penna doca nel calamaio e scrivere concitato su ruvide pergamene!
Se si fa sentire anche il verso seguente è più espressivo:
Tìtyre, tù patulaè recubàns sub tègmine fàgi sìlvestrèm tenuì Musàm meditàris avèna
che, se ricordo bene, si traduceva
O Titiro, tu sdraiato al riparo di un grande faggio mediti un canto silvestre sullesile flauto
Teniamo presente che questa è una pronuncia convenzionale, intesa a dare un assaggio, si spera, mediante accenti tonici (intensivi) di una metrica che era invece quantitativa, ovvero basata su sillabe brevi e lunghe sulle quali, pare, cambiasse anche volume e altezza della voce. Come realmente suonasse la poesia originale è ignoto, per quel che ne so.
I primi due di Ungaretti:
A una proda ove sera era perenne di anziane selve assorte, scese,
La mia sincera impressione immediata è che i versi di Virgilio suggeriscono un rilassato quadretto campestre, mentre quelli di Ungaretti cintroducono subito nei tormenti dellanima...sera perenne...anziane selve assorte... Se però si leggono interamente entrambe le composizioni laffinità emerge e potrebbe essere che Ungaretti si sia qui ispirato a Virgilio (dimostrando così la sua conoscenza dei classici!). Rimane comunque una differenza essenziale. Pur turbato dal fatto di dover abbandonare il suo podere, la sua vita, Melibeo riesce ad apprezzare la tranquilla esistenza di Titiro; il tono della poesia è comunque tranquillizzante, descrittivo, il suo significato esplicito. Invece uninquietudine irriducibile percorre tutta la composizione di Ungaretti che pur parlando di un immaginario luogo (che nella realtà pare fosse Tivoli!) nel quale la sua anima tormentata avrebbe dovuto riposare, si capisce che nasconde nei versi altri oscuri significati. In realtà egli non riesce a rasserenarsi e comunica questa tensione al lettore. Naturalmente i tempi erano duri e nei fatti cera di che esserne fortemente angosciati. Ma lincedere maestoso della cadenza dellesametro dattilico catalettico in me produce un senso di quiete o se vuoi di tranquilla rassegnazione verso gli eventi anche infausti della vita, un atteggiamento di olimpica serenità senzaltro voluto sul piano intellettuale dal poeta tenendo a bada le emozioni devastanti. Non so però quale fosse la risposta emotiva a questa ecloga da parte dei contemporanei di Virgilio, sarebbe interessante appurarlo.
Mi par di capire che secondo Marina "immagini evocative" è sinonimo di metafore, ovvero una poesia per distinguersi dalla prosa deve essere costituita solo o in gran parte da metafore. Pertanto la quasi totalità della poesia antica, inclusi gli esempi portati da Francesco per lei non sono poesia. Ma si potrebbe fare anche un lunghissimo elenco di poeti lungo tutta la storia dellumanità, in particolare tra recenti che sarebbero esclusi eppure ritenuti poeti dalla critica ufficiale. Certo la metafora aiuta, come daltronde altri espedienti e figure retoriche, ma non sono tutto, solo alcuni dei mezzi, come giustamente scrive Salvatore. Perciò il suo mi sembra un criterio eccessivamente restrittivo e arbitrario che non tiene conto della realtà, ossia che non cè soluzione di continuità tra prosa e poesia, non esiste un criterio certo, tutto ciò che ci emoziona può essere considerato poesia anche se, per ragioni pratiche, direi di tassonomia, limitiamo questa accezione, nel senso proprio, alla parola scritta, e la usiamo come metafora per altro. Ma la metafora è proprio questo...significato nascosto e allusivo oltre la semplice descrizione...Lerrore secondo me è invece nellidentificare "immagini evocative" con metafore: a mio parere si può benissimo creare unimmagine evocativa senza necessariamente ricorrere allespediente tecnico della metafora. Per limitarci alle poesie che sono state citate, nella composizione di Virgilio non ci sono metafore in senso tecnico ma le immagini sono potentemente evocative, mentre in quella di Catullo la metafora cè. Entrambe grandi poesie.
Sulla traduzione non sarebbe meglio "breve" anziché "fioca", e soles non è plurale? Comunque il concetto espresso da Catullo si sovrappone solo parzialmente a quello di Quasimodo. Catullo vuol dire, prendendo come esempio il sole, che molte cose al mondo sovrastano la durata della vita umana e se ne rattrista...è uguale a dire "un po di vento ci guarda dallalto delleternità". In Quasimodo cè unaggiunta, non solo la vita umana è breve ma è anche piena di solitudine e persino un raggio di sole, metafora della vita stessa, lungi dallesserci amico ci trafigge, ossia pure la vita è dolore. Resta comunque sempre da chiarire cosa sintenda per "immagini evocative". Secondo me è solo una bella espressione con un significato incerto. Qualsiasi frase evoca qualcosa nella mente. Per me poesia è tutto ciò che ci procura unemozione. Ciò si ottiene più facilmente e per più persone utilizzando una modalità espressiva che aggiri o scavalchi e persino perfori le barriere culturali, linguistiche, razionali che ostacolano la trasmissione del messaggio che si vuol comunicare, per arrivare direttamente al livello emozionale comune [ammesso che esista!] a tutti gli esseri umani.
Credo che tu, Francesco, ti perda molto a fermarti a D’Annunzio. Doppiamente se non leggi le traduzioni delle lingue che non conosci. La vera poesia possiede un nucleo irriducibile che una buona traduzione non può cancellare, provare per credere. Comunque de gustibus non disputandum est. Vorrei ora rispondere alla domanda posta nel tuo post iniziale <… vi è un percorso da seguire nella scelta lessicale, grammaticale, sintattica, metrica e retorica, oppure la più fervida ispirazione gettata sul foglio è pur sempre da ritenere poesia?> Ebbene sì io ritengo che sia necessario un percorso per comporre una grande poesia, fatto di studio e di cultura. I componimenti di getto, non mediati poi, non lavorati, sono materiali, idee per una poesia, al meglio bozze di poesie che, per non essere troppo pedanti, e non è il caso, chiamiamo tout court poesie. A me sta bene così, leggo volentieri con interesse anche tali componimenti, con la mente sgombra da pregiudizi si trova sempre qualcosa di buono, a volte anche la poesia.
Citato da: Antonio Terracciano su Domenica 25 Luglio 2010, 23:33:22 Certo, Antonio, mi rendo conto di quanto sia problematica una traduzione, in particolare di un testo poetico. C’è un interessante esempio riportato nell’introduzione di una raccolta di poesie di Tagore da parte di Alessandro Bausani (Tagore, Poesie, traduzione di Girolamo Mancuso, Newton Compton Editori, 1979). Ne riporto più sotto un frammento. Nella Nota alla Traduzione da parte di Girolamo Mancuso si dice infatti traduttore traditore e che Ezra Pound consigliava di <tradurre la poesia, non le parole> (facile a dirsi ma non a farsi!). C’è tutta una letteratura in merito; Mancuso consiglia ad esempio Roman Jakobson “Aspetti linguistici della traduzione” in Saggi di linguistica generale p.64. ma senz’altro esistono testi più recenti. Tagore scriveva in bengali ma conoscendo abbastanza bene l’inglese tradusse egli stesso molte sue opere modificandole per adattarle, secondo lui, alla sensibilità occidentale. La singolarità di questo esempio è che Tagore tradusse le sue poesie in inglese mettendole in prosa e il traduttore in italiano ha tradotto dall’inglese mettendole in versi! Afferma il traduttore <Una prosa che, anche nella traduzione letterale, si organizza in versi naturalmente e quasi da sola. Io non ho fatto altro che recepire questa tensione…>. La poesia illustrata dal Bausani è tratta dal Gitanjali (XVIII), ne riporto i primi quattro versi dei venti dell’originale ponendo il bengali [traslitterato] sopra e la traduzione letterale italiana sotto.
mégher pore mégh jomeche di-nube sopra nubi si-sono-ammassate
àndhar kòre àshe tenebra fatta viene
àmay keno bòshe rakho me perché seduto tieni
éka ddàrer pàshe? solo della-porta presso?
Il bengali possiede un accento ritmico sulla prima sillaba, non so però perché non sia indicato su tutte le parole. In bengali kh si pronuncia come c di casa e jh come g in genio seguita da aspirazione. Notare che i suffissi –er o –r sono dei genitivi (megh=nuvola; megher=della nuvola) e che –e può essere una specie di locativo. Inoltre esistono verbi composti (tenebra fatta viene=si vien facendo scuro), ecc.
In linguaggio un po’ più corrente suona (secondo me perché nel testo è un po’ diverso)
Nubi su nubi si accumulano si vien facendo scuro Perché mi tieni seduto presso la porta soltanto?
La ritraduzione dall’inglese è:
Nubi su nubi si addensano e si fa buio Amore mio, perché mi lasci tutto solo ad attendere fuori della porta?
Che ne dici, si perde poi tanto secondo te nelle varie forme?
Infine come scrive Bausani <Non va dimenticato che le poesie tagoriane, come del resto molte o tutte le poesie non solo indiane ma asiatiche in genere, sono fatte per essere cantate, non dette, o, peggio ancora, intellettualisticamente pensate. E si tratta di un canto che il mondo attuale, molto più nervoso e agitato del tradizionale, chiama in genere “monotono” e sente come tale, perché è pacificante, tranquillizzante, non agitato>. Tagore stesso ha musicato le sue poesie. Comunque la situazione attuale in Oriente è abbastanza diversa e i nuovi artisti si sono molto occidentalizzati pur rispettando sommamente la loro tradizione. Questa tua ultima proposta, Francesco, non mi sembra molto sensata. Non ha alcun senso chiedersi chi tra i classici e i moderni sia superiore. Per stabilire questo occorrerebbe fissare delle regole precise di ciò che sintende per poesia, o per arte se allarghiamo il discorso. Queste regole semplicemente non esistono, ed è proprio questo che, tra laltro, hanno mostrato i moderni di nuovo rispetto agli antichi. Ovvio che ognuno può enunciare dei suoi postulati e giudicare ogni cosa rispetto ad essi, ma ciò porterebbe a valutazioni puramente soggettive senza alcuna rilevanza scientifica. I fenomeni complessi, come larte, non sono riducibili a delle regolette anche se in passato è stato fatto anche questo, ma proprio in ciò consiste levoluzione di ogni forma di conoscenza. Un giudizio sullarte non si può ridurre, ad esempio, ad un salto in alto. In questultimo caso è facile dire chi è superiore, ossia chi salta più in alto, ma sullarte non cè una regoletta così banale.
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