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Commenti al testo proposto da Redazione LaRecherche.it
Frammenti proustiani: vita e opera

Sei nella sezione Commenti
 

 maggi fiorenza - 04/02/2012 17:45:00 [ leggi altri commenti di maggi fiorenza » ]

Raimondi scrive contro Mariolina Bertini! E con motivazioni convincenti, direi

 sebastiano piscitelli - 02/02/2012 20:50:00 [ leggi altri commenti di sebastiano piscitelli » ]

Gent.ma Fiorenza,

l’essere un amateur proustiano è lodevole. Gennaro Oliviero ha voluto - a parer mio - reagire a quanto Raimondi ha scritto su Proust

 grisanti luca - 25/01/2012 21:30:00 [ leggi altri commenti di grisanti luca » ]

Cara Fiorenza,

non dobbiamo però sorvolare sul fatto che puri esercizi di ingenuo dilettantismo rendano torbida la percezione del lettore proustiano. Oliviero fa tenerezza.....

 maggi fiorenza - 22/01/2012 20:16:00 [ leggi altri commenti di maggi fiorenza » ]

Caro Grisanti Luca

il saggio di O.Gennaro è il saggio di un semplice amateur proustiano, non certo uno specialista.

 Grisanti Luca - 13/01/2012 18:32:00 [ leggi altri commenti di Grisanti Luca » ]

Les oeuvres d’art les plus irritantes, non encore classées, et certaines productions hétéroclites, négligées jusqu’ici, seront l’objet d’études aussi rigoureuses, aussi scientifiques que celles des archéologues. (...) le caractère parfois absurde des résultats ou des méthodes, loin d’etre dissimulé, sera délibérément souligné, aussi bien par haine de la planitude que par humour (M.Leiris)

Caro Gennaro, rileggiti alcuni dei testi fondamentali della critica letteraria!!!!!!

 Gennaro Oliviero - 13/01/2012 06:24:00 [ leggi altri commenti di Gennaro Oliviero » ]

Leggo con perplessità(e scetticismo)i due ultimi commenti,che si riferiscono al saggio di Lavagetto e alla sua critica letteraria.Nell’ovvio pieno rispetto delle opinioni altrui,mi è venuto da pensare alla frase con la quale Roberto Calasso conclude la sua "La Folie Baudelaire":
Raccontava Anatole France ,con l’amabile scetticismo che talvolta
gli impediva di capire,che un giorno un marinaio aveva mostrato a Baudelaire un feticcio africano,"una piccola testa mostruosa intagliata da un povero negro in un pezzo di legno. - E’ proprio brutta,disse il marinaio.E la buttò via con sprezzo. - Fate attenzione! disse Baudelaire inquieto.Potrebbe essere il vero dio!" Fu la sua più ferma dichiarazione di fede - conclude Calasso.
(A.France,"Charles Baudelaire" in "La Vie littéraire",Calmann-Lévy,Paris,vol.III,1891,p.23).

 luporini stella - 12/01/2012 19:57:00 [ leggi altri commenti di luporini stella » ]

Condivido la tua opinione. Lavagetto è la "morte" della critica letteraria.

 raimondi giacomo - 12/01/2012 19:55:00 [ leggi altri commenti di raimondi giacomo » ]

Francamente non condivido questo fervore per il saggio di Lavagetto. Si legga il saggio di Beckett su Proust!!!!!!!

 véronique Létaud - 12/01/2012 10:53:00 [ leggi altri commenti di véronique Létaud » ]

"Personne, personne n’ose dire JE! Mais lorsque la première condition absolue de la vérité est la personnalité, comment la vérité peut-elle trouver son compte à cette ventriloquerie!" demande Kierkegaard.

Le bel essai de Gennaro Oliviero nous parle d’un Proust qui a depuis longtemps distingué, voire opposé, chez la meme personne le sujet écrivant et son "mon" social. La littérature, il dit, traverserait durablement une mauvaise passe. L’invention narrative se serait envolée, la planète nous bouderait à juste titre. Le symptome de ce mal serait ce déferlement de l’égo-littérature, corruptrice de toute ambition littéraire vraie. Mais à s’agacer de l’excès de tourments de soi vite oubliés, on en néglige l’essentiel: le domaine de ce qu’on appelle, faute de mieux, les écritures du "je" est depuis près d’un demi-siècle un laboratoire de la littérature, d’où surgissent des formes inattendues, des découpes originales, des histoires fortes. Des voix singulières y font entendre des modulations neuves, des accents troublants. "Je" est un sésame qui ouvre la littérature parfois vers la simple narration d’une histoire individuelle, al sobriété d’un témoignage, amis aussi vers des escaliers dérobés, des trappes et des chausse-trapes. Il oriente, pour peu qu’il s’avance hors de ses sentiers battus, vers un univers de frontières indécises, de confusions et d’ambiguités, d’amonts qui se perdent dans des avals ou l’inverse. Ces accomodations mouvantes du regard sur soi melent époques et paysages, bougent les pièces du puzzle des identités, désatabilisent.

 Gennaro Oliviero - 08/01/2012 07:33:00 [ leggi altri commenti di Gennaro Oliviero » ]

Un lettore del mio saggio "Frammenti proustiani:vita e opera",pubblicato nel sesto numero dei "Quaderni Proustiani"(anno 2012) mi ha espresso con una email il suo un vivo apprezzamento per quel testo, che da qualche settimana è stato proposto anche ai suoi lettori dalla Redazione della "Rivista Letteraria Libera" LaRecherche.it.
Mi ha particolarmente colpito - del contenuto della suddetta email - il divertente titolo che lo scrivente (parafrasando quello del libro di Lavagetto,"Quel Marcel!) ha inteso dare al mio saggio,denominandolo "Quel Cahier".
Mi è venuto allora alla mente - per una inspiegabile connessione - l’informazione letta nel programma delle pubblicazioni de LaRecherche.it, laddove per la data del 10/7/2012 è previsto un ebook di Autori vari,un’antologia proustiana,con titolo da definire,che sarà curata da Giuliano Brenna e da Roberto Maggiani.
Modesta proposta per questo "cahier" de LaRecherche.it: sondare - tra gli autori che hanno pubblicato nei "Quaderni Proustiani" negli ultimi anni saggi,articoli,recensioni,ecc.(per lo più specialisti e studiosi di Proust,ma anche semplici amateurs) - quelli che sono disponibili a fornire per la suddetta antologia scritti inediti. Naturalmente si tratterebbe di aggiungere questi contributi a quelli -più vari e articolati -che rientrano vocazionalmente nelle impostazioni editoriali proprie de LaRecherche.it : sarebbe un bel modo di promuovere il "sodalizio" tra LaRecherche.it e l’Associazione Amici di Marcel Proust( www.amicidimarcelproust.it)e di diffondere la conoscenza dei "Quaderni Proustiani",che occupano un posto(internazionalmente non trascurabile)tra le riviste di studi proustiani.

 marco nuti - 03/01/2012 20:24:00 [ leggi altri commenti di marco nuti » ]

Sostiene George Painter, biografo di Marcel Proust, nel capitolo sul Contre Saint-Beuve, che fortunatamente scrivere una biografia significa fare “l’esatto contrario di quel che faceva Saint-Beuve, che si serviva di un’impressione superficiale dei caratteri esteriori di un autore per correggere un’altrettanto superficiale impressione dell’opera. Compito del biografo invece è […] scoprire, sotto la maschera della vita obiettiva, quotidiana dell’artista, la vita segreta dalla quale egli ricavò la sua opera”. Painter sbriga la questione con disinvoltura, limitandosi a opporre all’esteriorità e alla superficialità del metodo Saint-Beuve una non meglio chiarita capacità di scrutare “al di sotto”, all’abuso dell’impressione un oculato lavoro di restauro del vero nascosto. Per il biografo di colui che aveva condannato a più riprese e senza appello l’interesse biografico era forse questo, evasivo, l’unico modo praticabile di rivendicarlo per sé. Ma chi quell’interesse appunto voglia assumere come terreno di interrogazione, non di elusione, non può sorvolare sul fatto che Proust aveva sostenuto precisamente che quei due io distinti, l’io della vita e l’io dell’opera, sono non soltanto separati, ma irriducibili e in comunicanti. Non a caso Painter utilizza la metafora della maschera in un’accezione profondamente estranea all’universo proustiano, mentre nel Tempo ritrovato è immagine dell’infinito e incontrollabile moltiplicarsi degli io nel tempo della vita, qui la maschera intrattiene con l’autentico, il volto che cela, un rapporto iconico che è insieme di nascondimento e di svelamento. Risolvere la difficoltà su un piano di semplice buon senso, riconoscendo all’autore il diritto di proteggere la propria privatezza mentre nel contempo si rivendica allo studioso, al critico, al lettore tout court quello di forzare, in nome di una migliore comprensione dell’opera, i dispositivi di protezione apparecchiati dall’autore, significa voler ignorare l’esistenza di un nodo teorico ancora intatto, seppur non intentato.
Il bel saggio di Gennaro Oliviero, Frammenti proustiani: vita e opera (pubblicato nell’ultimo numero di Quaderni Proustiani) profondamente immerso in una densa lettura dell’illuminante Quel Marcel! Frammenti dalla biografia di Proust di Mario Lavagetto, è un’ottima chiave di lettura per ripensare la costituzione dell’idea di letteratura. Oliviero ci invita a pensare la possibilità di un’altra critica, che assuma finalmente la fine della critica letteraria e della letteratura quali furono definite dalla modernità non come un lutto ma, al contrario, come un’occasione preziosa di conoscenza e di alternativa; solo in tal modo sarà possibile sottrarre la forza di quella morte alla rassegnata apologia dello stato delle cose presente, della crisi irreversibile di una costellazione epistemica che, ritagliando il campo della letterarietà, aveva consentito e fondato in Occidente la letteratura e la critica letteraria quali ancora noi le abbiamo conosciute. Investigando con estrema puntualità le pagine di Lavagetto, Oliviero sottolinea come l’universo del letterario ha confini non solo incerti e sfrangiati ma anche in continuo movimento. Da qui il paradosso che segna il rapporto tra letteratura e critica letteraria: la critica non vive senza la letteratura e ne è parassitaria, ma la letteratura non esiste senza che un gesto critico la riconosca e la consacri tale.
Molto prima del precisarsi di qualsiasi determinazione progettuale, la materia verbale che siamo soliti impiegare quando, in cerca di autenticità, desideriamo parlare di noi, dell’intimo, del profondo, quando cioè tentiamo di vedere noi stessi, senza eccezioni appartiene all’ordine di per sé ulteriore dell’approssimazione figurale. Auscultando Proust, Oliviero ci svela che interrogare l’interiorità significa dar corso agli spontanei affioramenti analogici, alle omissioni e agli slittamenti argomentativi provocati dalle inadempienze della ratio discorsiva a fronte del procedere della riflessione. Finzioni, metafore per qualcosa che manca, costituiscono l’ordinario appannaggio del regime linguistico sicché, in un ambito siffatto, il questo assume sempre le sembianze di un quello, il qui di un altrove, l’oggetto reale di un oggetto finzionale. Frammenti di vita, ricorda Oliviero, di un’esistenza disgelata nel proprio più radicale e complesso congegno, rilanciata nella propria funzione ontologica, afferrata nella propria complessità. Altre vie non sono più concesse: il silenzio religioso di Proust è la chiave che apre la “porta grande” della Recherche. Per la quale entriamo in un universo letterario ma forse in una delle più alte filosofie del soggetto che la contemporaneità ci abbia offerto. La dimensione teatrale scende a vivere in profondità, alle origini di ogni riflessione, che si dispiega su un’immaginaria ribalta ostentando se stessa. Lavagetto e- con lui – Oliviero sembrano sussurrarci che forse in nessuna scrittura come in quella della Recherche prende vita, con tanta risolutezza, e in un modo che si vorrebbe definire strutturale, quel pensiero pensato che era, per Mallarmé, l’estremo esito di un’introspezione volta a superare la barriera dell’io. Perché, chiosa Oliviero, riguardo alle cose umane è necessario non ridere, non piangere ma capire.

MARCO NUTI

 Franca Alaimo - 28/12/2011 18:38:00 [ leggi altri commenti di Franca Alaimo » ]

Ho letto queste pagine firmate da Gennaro Oliviero con interesse crescente, in quanto, nell’intervenire egli sulla dibattuta questione del rapporto tra arte e vita, in questo caso a proposito della Recherche di Proust, lascia cadere numerosi semi di ulteriore riflessione, quali, per esempio, se possa esistere ancora una critica letteraria utile ( al che egli risponde con un’affermazione, e, fra l’altro, vedendo nella scrittura critica l’impronta della creatività e la possibilità di suscitare emozioni); e se sia poi così necessario volere ad ogni costo privilegiare l’identità al posto della discontinuità o alterità come metro di giudizio di un autore, e, forse, ancora di più, dell’opera che egli scrive.
Secondo me, l’idea più feconda sta nel riconoscere "il gioco della prossimità e distanza" fra biografia e scrittura, tenendo conto anche della diretta testimonianza di Proust, ed anche del criterio della sospensione dello sguardo etico, visto che in un’opera d’arte la vita rappresentata ha la sua giustificazione in se stessa e non nei codici correnti.In ogni caso tutti gli scritti di grossi critici, qui ricordati, che si sono occupati di tale questione, hanno costruito un monumento accanto un monumento, una cattedrale intricata accanto a quelle descritte da Marcel. Sulla questione è vano che io dica la mia opinione, non essendo un critico "ufficiale",ma posso esprimere il mio punto di vista da lettrice e da scrittrice.
Da lettrice dell’opera di Proust ( lettura più volte ripetuta e,immagino, da ripetere ) posso dire che l’enormità dell’opera vuole piuttosto essere un affresco della Vita, della società del tempo e di ogni tempo ( in quanto metafora del cuore umano ) e, che per rappresentarle, egli ha avuto "necessità" di usare frammenti della sua vita mescolandoli a quelli di altri, ad accensioni e dilatazioni
immaginative ed emozionali; come scrittrice opero esattamente così.
Ringrazio Gennaro Oliviero, perché ci ha donato un pezzo di critica "emozionante".

 Redazione LaRecherche.it - 28/12/2011 13:17:00 [ leggi altri commenti di Redazione LaRecherche.it » ]

Il saggio-recensione (si veda "Quel Marcel! Frammenti dalla biografia di Proust", Einaudi 2011, di Mario Lavagetto) del Professor Gennaro Oliviero, qui proposto, è pubblicato sull’ultimo numero della rivista "Quaderni Proustiani", Arte Tipografica, dell’Associazione "Amici di Marcel Proust" di Napoli.