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Tangenziale Est

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Voi non sapete la vostra bellezza, i colori magnifici che fate, la vastità marina dei cassetti
con le isole meridiane dei calzini
amaranto al mattino, come commuova il lasco
delle frizioni in questa ora quieta del Sud.

Tra corpo e polietilene non c’è spazio. Eppure resiste
qualcosa
di ancora non caduto, di non completamente
disseccato. Scocca di resine. Organi
scuri e molli. Milza. Pistone. Adesso guarda
dentro questa assenza di spazio, tocca questo stiparsi. La materia granata
del cuore. Contachilometri. Stantuffo. Serratura. Portello
posteriore. Gangli
di cavi e valvole. La pituitaria. Ganglio
dell’ipotalamo. Ora abbandona tutta la speranza
lascia che affiori
dal tuo volto la meridiana gialla
del caso – giallo
radiante, giallo
maturo. Un sorriso
di scimmia. Bianco. Un sorriso
canino. Cambio. Filo dei freni. Tendini
e loro estensione. La gravità ci piega verso il basso. Cilindri, aghi
e puntatori. Prolungamento delle rotule nell’albero
motore. Il biglietto coi nomi che hai lasciato
nella cavità della roccia,
la scia di sangue con la quale hai sbiancato il suo cuore.

Guarda queste colonne orizzontali, questo moto da luogo, guarda il compatto
e insieme il differenziato, questa massa bellissima di corpo e macchina
mossa
ogni giorno da mantici di volontà.
Siamo una collettiva dedizione. Dopo, ci dividiamo.

Pensa al continuo affrontarsi
di cortecce orbitali,
pensa
che un millimetro scarso di membrana conserva le creature
nel sacco del proprio comportamento morale. Pure, non c’è omicidio. Le autovetture sfilano con obbedienza
lungo la tangenziale. Uno spettacolo
di ordine amoroso. Potrebbe essere
un massacro, una piaga d’ira. Ma siamo
gentilissimi. Dorsali. Retti
da un quotidiano affetto di scimmie. Nessun investimento volontario. Raramente
qualcosa sfugge. Un trionfo ordinario di amore,
un rogo morale
di volti umani e vetro.

Sotto di voi è distesa la colata di pace
della carreggiata. Raramente qualcosa
deraglia. Solo talvolta il cuore – l’orbita
magna – guizza
nella maglia d’uranio
della sopraelevata. Solo talvolta
un soffio del sangue
porta fin qui, sui groppi
di cemento del ponte
la luce delle rose. Allora
la gabbia di zinco dello spartitraffico riluce in questa quiete
come la scia del sorriso degli immortali
allora soffia
sulla groppa di minerale inerte che s’inarca
nell’ampia e bianca radiazione
tra Scalo San Lorenzo e
Via Prenestina un’asciuttezza di sabbia
con le rovine e le biciclette d’oro.

Adesso sei continuamente in contatto
completamente divaricato dal canto
sei allo scoperto, tutto
smemoratezza, esposto
in tutta la superficie
e per ciò inattaccabile
sdrucciolo
brilli come una catena di luce che oscilla.
Brilli come una cosa.
Sei curvo come un masso di sentimenti.
Riesci ad amare il tuo benefattore.



Roma, 29 settembre 2011


(inedito, dal sito http://www.francoarminio.it/2011/10/10/tangenziale-est/)

 Loredana Savelli - 13/10/2011 21:07:00 [ leggi altri commenti di Loredana Savelli » ]

Non ho letto molto di Maria Grazia Calandrone, purtroppo, ma questa poesia che ho trovato su un blog me l’ha rivelata in modo dirompente.
Mi ha commosso leggere la descrizione di questo luogo che conosco e trovo disumano. Tutte le volte che percorro la tangenziale Est di Roma mi dico: deve esserci un senso, ma non arrivavo a pensare anche a una bellezza in questo bizzarro accoppiamento tra macchine e persone, caso e sentimenti, volontà di movimento e immobilismo forzato e intanto il tempo scorre, niente inizia e niente finisce in una città che pare eternamente sospesa tra il momento prima e quello dopo una tragedia evitata...

Per me una grande scoperta la poesia di Maria Grazia Calandrone.

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