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A ovest di Roma

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Raramente, nella mia esperienza di lettore, mi è capitato fra le mani un libro di intensità pari al postumo “A ovest di Roma” di John Fante. L’altro giorno l’ho riletto per la terza volta (poche, in confronti ad altri personali ‘mostri sacri’) ed ho ritrovato, oltre ad una storia nel contempo originale e quotidiana, una prosa tesa come un tamburo, dolce e corrosiva, commovente eppur spietata.
Scrittore sottovalutato fino alla vecchiaia, rivalutato e portato a importanti ri-pubblicazioni dall’ormai noto Charles Bukowski solo negli ultimi anni della vita, adorato, ahimè, unicamente dopo la scomparsa da schiere di romanzieri americani e non, Fante rappresenta uno degli esempi lampanti di quel genere di prosa anglosassone dal periodare ridotto ma senza eccessi, gradevole e preciso, che riesce ad essere al contempo fortemente espressiva e sufficientemente connotata, in un’alchimia che pochi altri hanno saputo trovare e che dovrebbe essere d’esempio anche a molti scrittori, prolissi ‘parolai’, nostrani.
“A ovest di Roma” si compone di un romanzo breve (“Il mio cane Stupido”) e di un racconto (“L’orgia”): il primo è sicuramente il piatto forte dell’opera.
Finta-vera autobiografia dell’autore, propone la storia di un maturo scrittore in eterna, ondivaga crisi d’ispirazione, alle prese con le problematiche correlate al suo lavoro di sceneggiatore televisivo, ai rapporti con la moglie e i quattro figli, al ricorrente desiderio di fuggire da tutto e ripartire proprio dalla città eterna.
Il, già non troppo tranquillo, trantran familiare verrà sconvolto dall’arrivo di un grosso cane akita nero con marcate tendenze omosessuali: Stupido, per l’appunto.
Non voglio svelare troppo di questo testo, per non rovinare agli eventuali nuovi lettori il piacere di scoprire una storia di affascinante semplicità, impietosa e cinica eppure drammatica e, a tratti, commovente, che, forte di uno stile misuratissimo perfezionato negli anni, è resa sulla pagina con una levità invidiabile anche dove la materia si fa dura o (leggermente) scabrosa. Una storia, dunque, solo apparentemente banale, che dietro vicende assolutamente quotidiane, nasconde una sostanza di affetti e sentimenti palpitanti con rara intensità.
È il frutto maturo della prosa di uno scrittore che già aveva mostrato rarissime doti di una scrittura assolutamente controllata, vivace, ricca e nel contempo leggera fin dagli esordi.
E, proprio agli esordi, ai tanti racconti e romanzi dedicati alla propria infanzia e gioventù di italo-americano povero e sognatore, è da ricondursi il racconto “L’orgia”, lucido ricordo della fine dei sogni fanciulleschi e del brutale ingresso nel mondo dei ‘grandi’.
Fa da sfondo alla storia, che, ad onta del titolo, è tutto fuorché pruriginosa, il Colorado degli anni ’20, dove si muovono personaggi mitici dell’universo fantiano, come il padre, muratore abruzzese di buon cuore e pessimo carattere, e la madre, tipica donna ‘casa e chiesa’ ostinatamente aggrappata alla sua superstiziosa religiosità, unico appiglio in un’esistenza difficile.
Naturalmente seguiremo i passi del piccolo John, e scopriremo parte del suo universo sentimentale sognante e mistico, realistico fino al particolare e duro che, ancor meglio, viene raccontato in altre opere. Ma già in questo breve testo, tutto è compreso: si intravede perfettamente un orizzonte che qui è davvero di piena rielaborazione autobiografica.
Per concludere, consiglio questo libro a tutti coloro che vogliono allontanare da sé i brutti pensieri e le amarezze quotidiane: in particolare, “Il mio cane Stupido” sarà un’esperienza palingenetica. Chi, invece, volesse conoscere Fante ‘ab origine’ piuttosto che a partire da un’opera postuma, potrà gradevolmente rivolgersi al suo capolavoro “Chiedi alla polvere” e da lì iniziare un magnifico viaggio.

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