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Tre poesie di Umberto Fiori

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Diciotto e ventisette

Le macchine che si muovono
a scatti lungo il viale, poi restano
ferme in fila al semaforo,
non sono vuote.

Ogni volante, una testa. Come due uova
rimaste nel cestello di cartone
il taxista e il cliente
guardano avanti.

È troppo nuova per te, questa scena?
Perché tremi? Cos’è, non l’hai mai visto
il suo broncio di pietra
venirti incontro? Non sei ancora pronto
a queste facce, a queste ruote?

Ancora ti sconvolgi, di fronte
all’autotreno che non si ribalta,
alle minacce che non arrivano, al cuore
strappato vivo
dal petto di nessuno
e stretto in mano, e sollevato in alto?

***

Museo

Guarda come riposa,
come regna il coltello
nella vetrina
senza la mano del soldato.

Come rimane uguale, la statua.
Dalla fronte bombata, dalle ombre
di questa guancia di legno,
senti com’è lontano
il modello.

Come vorrei anch’io
spegnermi nella luce
della cosa che resta,
essere stato.

***

Scivolo

Spazio giochi, ai giardini. Una signora
issa in cima allo scivolo una palla
di carta di giornale, le dà un bacio:
«Pronti… partenza… via!». Un’altra tiene
per mano un abat-jour, gli sistema
le frange di ciniglia. «Mia figlia,
vedesse che ballerina…
Ha già vinto due premi».
«Pensi che il mio – tre anni – sa già scrivere…».

Le ascolta una ragazza, lì in coda
col suo bambino. Gli stringe forte la mano,
e spera che nessuno
si accorga che è vero, e vivo.



[Umberto Fiori, La bella vista, Marcos y Marcos, Milano 2002, vedi sito http://www.leparoleelecose.it/?p=2629]

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