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La firma in calce a questa lettera è la tua, o quella che sarà la tua tra cinquant’anni. Ti scrivo dal futuro: non è uno scherzo, ma la realtà. La data di questa mail è due ottobre 2064, ho da poco compiuto settantaquattro anni, è indirizzata a me stesso quando avevo, appena vent’anni. Posso scrivermi dal futuro grazie ad una recente scoperta scientifica che ci consente, almeno per la trasmissione di documenti elettronici, di abbattere le barriere del tempo. Credo che in molti, in questo istante, stanno facendo il mio stesso tentativo: spiegare il futuro per vedere se è possibile cambiarlo.

La popolazione mondiale sta per raggiungere ormai gli undici miliardi, le risorse del pianeta non bastano per tutti; è un fatto che incide sulla vita quotidiana. L’energia è razionata: possiamo utilizzarne la metà di quanto ne avevamo a disposizione all’inizio del secolo. Possiamo usare l’auto solo a giorni alterni, abbiamo dei tetti per l’acquisto di generi alimentari: non possiamo comprare più pane, pasta, carne, di quanto previsto dalla nostra card dietetica giornaliera. Abbiamo delle tessere elettroniche che controllano tutto, anche la vita privata, è sottoposta a verifiche invasive. Per motivi fiscali, ma non solo.

Qualche anno fa è andato in pensione l’ultimo lavoratore con un contratto a tempo indeterminato; è stato sulle pagine di tutti i quotidiani, il governo ha indetto una giornata di festa nazionale per l’occasione. Il contratto di lavoro più lungo è trimestrale: c’è un’agenzia statale, però, che monitora le necessità delle imprese e si occupa di farci trovare subito un’altra occupazione.
Assorbe ormai il dieci per cento della forza lavoro e ha costi spaventosi, ma la disoccupazione non esiste più.

Si va in pensione a settantacinque anni, dato che l’aspettativa di vita ormai ha superato i cento anni. C’è un tetto di venticinque anni anche per il pagamento dell’assegno pensionistico: chi supera il secolo di vita, se non ha un altro reddito, o una famiglia in grado di mantenerlo sino alla fine dei propri giorni, può scegliere di ricorrere all’eutanasia assistita. Neppure la Chiesa ormai si oppone a questa pratica molto comune.

La giornata lavorativa è di dieci ore o più esattamente di otto più due: otto di lavoro e due di studio. Cosa studiamo? Ci aggiorniamo sulle novità tecnologiche, apprendiamo nuovi mestieri per essere pronti, alla scadenza del contratto, ad essere subito produttivi, in un’altra azienda. Il tempo libero è un lusso che non possiamo permetterci: è razionato anche quello.

C’è una card anche per l’amore: in essa sono memorizzati gli appuntamenti scelti dall’agenzia governativa specializzata per farci conoscere l’anima gemella. Funziona così: chi è single è obbligato a compilare un questionario con l’indicazione delle proprie preferenze. Sesso, età, caratteristiche fisiche e caratteriali della persona cercata: un algoritmo provvede a trovare le affinità elettive, i desideri incrociati, le persone le cui preferenze combaciano alla perfezione. C’è l’obbligo d’incontrarsi e di tenersi in contatto almeno per un mese e di fare sesso: se dopo questo periodo la scintilla non scatta, il grande fratello, si metterà alla ricerca di un nuovo partner ideale.

Il matrimonio è stato abolito, sostituito da contratti di cinque anni: alla scadenza si può decidere di rinnovarlo o di separarsi. La Chiesa come l’ha presa? Ha strepitato per un po’ ma poi ha fiutato l’affare e ha concesso il proprio benestare. Da quando ha avuto l’esclusiva delle unioni temporanee, attraverso un’asta pubblica, nuota nell’oro.

La pressione fiscale è arrivata al settanta per cento: il restante trenta per cento, però, grazie alle restrizioni sull’acquisto di generi alimentari, di carburante, di vestiti, basta a sbarcare con dignità il lunario. La moneta è elettronica, il contante è stato abolito già da una ventina d’anni. Il risparmio è razionato: non può superare, per legge il dieci per cento del reddito. Il surplus o è reinvestito o viene trasformato in titoli del debito pubblico a lunga scadenza.

Il Grande fratello controlla tutto: ci sono telecamere in ogni angolo di strada, in tutte le abitazioni. Gli unici luoghi dove è concesso di tenerle spente sono la camera da letto ed i bagni. La privacy è inesistente: ogni discussione è intercettata dai potenti algoritmi dei servizi d’intelligence, la posta elettronica è sotto sorveglianza. Forse il prezzo pagato per sconfiggere la criminalità, per ridurre al minimo i reati è troppo elevato. Le pene per chi spegne le telecamere o i microfoni sono severissime e immediate. Le prigioni non sono piene di ladri e assassini, ma di fanatici della privacy.

Ribellarsi è impossibile: la democrazia rappresentativa non esiste più. Niente elezioni, parlamento, partiti: spazzati via dagli eccessi di corruzione e dall’avvento della società tecnologica. Le decisioni sono prese a maggioranza con referendum on line: chiunque può avanzare una proposta, ed esporla nella bacheca delle leggi da approvare. C’è un mese di tempo per leggerle, discuterle e metterle ai voti. Sono talmente tante, però, che fatalmente non possono essere approfondite dalla maggioranza della popolazione. Spesso vengono votate al buio, senza avere alcun’idea di che cosa significhino: le leggi in vigore, però, non possono essere abrogate prima di due anni di attuazione.

Assemblee e riunioni sono consentite solo attraverso il web, per evitare disturbi alla quiete pubblica: in realtà, ormai, sono una rarità anche in questa forma. La democrazia è diventata un votificio, almeno un’ora della giornata è dedicata all’approvazione o meno delle proposte di legge: non c’è tempo per discussioni di altro tipo.

Niente democrazia, energia e cibo razionati, pensione a scadenza fissa, dieci ore al giorno da dedicare al lavoro e allo studio, vita privata invasa dallo Stato, matrimoni a tempo determinato, relazioni sentimentali obbligatorie almeno per un certo periodo, la galera in caso di ribellione: è questo il futuro che immaginavamo da giovani, quando il web era solo un’occasione di conoscenza, di socializzazione, di svago?

Non credo, a cambiare rotta si è ancora in tempo: sono ancora in tempo nel 2013, se do retta all’esperienza dei miei prossimi cinquant’anni.

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