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al testo di Antonino Cervettini
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Non posso affermare di conoscere bene Gianmaria Testa. So di lui quello che sanno tutti, dopo che in Francia si sono accorti di quanto fosse bravo con la musica e con le parole. Un grande artista. Eppure, da che ne ho sentito parlare, l’ho sempre percepito amico, vicino, disponibile. Animato da una sensibilità e da una grazia che solo pochi eletti possono vantare. Lui era uno di quei pochi. Figlio di contadini e ferroviere, come me. Poeta come può esserlo chi sa adagiare, sulle note di una chitarra che si librano nell’aria, petali di parole leggere come i sogni di un bambino, come bugie che catturano l’attenzione e costringono a seguirle fino a che non sono lontane, ormai indistinguibili, all’orizzonte. Gianmaria era l’essenza del sentimento, un autore che colpiva per la semplicità quasi scarnificata dei suoi testi. Levigava ogni sua canzone, lavorando a togliere. Aborriva il troppo, il sovrappiù. Perché quello che conta è la cifra, la struttura e non già i nastrini e i fiocchetti. Un menestrello che metteva nelle sue opere tutto sé stesso. Testa e cuore. |
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