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Viriato Il Guerrigliero

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La scena è terribile e straziante e un silenzio di morte incombe sul campo disseminato di corpi senza vita. Sono soprattutto donne e bambini e sembra un campo di battaglia.  Ma non è un campo di battaglia, perché non ci sono armi sparse per terra. Solo corpi. E’ un campo di sterminio!

Un uomo si aggira tra quei corpi straziati. Non è solo; con lui ci sono altre persone. Poche persone.

L’uomo si ferma di colpo e si piega sul corpo di una ragazza.  Ancora una bambina, in verità, ma le hanno squarciato il grembo. L’uomo le si inginocchia accanto, le accarezza il volto  con infinita  tenerezza, poi pone la mano destra sul grembo insanguinato; alle sue spalle  i compagni piangono.  Non lui! I suoi occhi sono ostinatamente asciutti e le labbra contratte, .ma un lampo  d’odio  profondo  gli attraversa  lo sguardo,  mentre  proferisce:

“Chiamo gli Dei tutti degli Inferi a sostenere questo braccio fino a  quando non avrò fatto vendetta di questo sangue innocente.”

Quell’uomo era Viriato, il grande Guerrigliero, che per anni  tenne in scacco le  invincibili Legioni romane in Lusitania. Era scampato all’eccidio solo per un caso e quella ragazzina era sua figlia.

In quella circostanza dai loschi  contorni  e  in un clima di ferocia tale da suscitare orrore nella stessa Roma, perirono circa 30 mila  persone

 

Che cosa era accaduto?

I bagliori delle fiamme di Cartagine che bruciava erano ancora vivi quando i romani occuparono la Lusitania, nella penisola iberica, zona ricca di monti e foreste, ma povera di pascoli, dove la principale occupazione della popolazione era la razzia ai danni del vicino. Inutile ogni accordo con la popolazione locale,  alla fine il console Sulspicio  Galba  propose  e ottenne dal Senato Romano il trasferimento della popolazione in altra zona più produttiva, che fu fissato per il l50 a.C.

Con la promessa di migliori condizioni di vita, dunque,  Galba riuscì a convincere la popolazione, che adunò  in un posto convenuto e  divise in tre gruppi,  pronto a trasferirla nella  nuova destinazione.  

Il generale si raccomandò che non fossero armati, dal momento che le armi non sarebbero servite, là,  dove erano diretti.  Appena formati i gruppi, però, Galba ordinò all’esercito di circondarli e massacrarli tutti, donne, uomini e bambini.

In realtà, non tutti si erano presentati all’appello. Fra quelli scampati al massacro, c’era Viriato, il quale condusse  i compagni sul  campo dell’orrore  e  in nome di tutti gli Dei degli Inferi, giurò che mai avrebbe deposto le armi  contro Roma,  fino a quando non avesse sparso fiumi di sangue romano per  vendicare l’orribile misfatto.

Chi era  Viriato,?

Viriato era l’uomo destinato, dopo quel sanguinoso episodio,  a diventare il nemico più temuto di Roma.

Da tutti ammirato, perfino dagli stessi nemici,  Viriato proveniva da una famiglia di  umili origini.  Fin da  giovanissimo  la sua occupazione fu quella del brigante  e del  mercenario,  come era uso presso le  barbare tribù lusitane.  Dotato di straordinaria  forza fisica,  resistenza alle fatiche,  alla fama ed alla sete, il giovane  avrà modo, in seguito, di  dimostrare di possedere anche doti di  diplomazia. Soprattutto, però, possedeva un intuito militare e strategico fuori del comune ed  aveva un modo di combattere tutto nuovo e particolare:  non  affrontava  il nemico a viso aperto e con le forze al completo, ma lo coglieva di sorpresa con un manipolo di uomini. In questo era anche favorito dall’impraticabilità del terreno su cui si muoveva e che conosceva perfettamente..

Grande trascinatore,  nel 147 a.C. riuscì ad unire intorno a sé  un numeroso esercito tribale  da opporre ai conquistatori romani,  guadagnandosi  presto  il rispetto della sua gente,  ma   anche dei nemici,  soprattutto quando, con uno stratagemma  riuscì a mettere in salvo i suoi uomini.

Cominciò proprio con quell’episodio la sua leggenda di  guerriero intrepido,  imprendibile ed imbattibile. In una sola parola: l’incubo dei romani.

Partì da Carpetania, che devastò, mettendola a ferro e fuoco. Qui, diede prova della misura del suo odio verso Roma,  mettendo  in scena una macabra cerimonia:  sacrificò un cavaliere romano fatto prigioniero ed invitò i suoi uomini a giurare odio eterno a Roma,  facendo mettere loro la mano destra nelle viscere della vittima.

La più grande vittoria, Viriato l’ebbe  nello stesso anno, contro il comandante romano Caio Vetilio.

Romani e Lusitani erano già pronti alla battaglia, schierati gli uni di fronte agli altri.  Ma Viriato, con un gruppo di mille cavalieri  attaccò di sorpresa  le truppe di Vetilio,  mentre,  ad un segnale convenuto,  i suoi uomini  penetravano tra  le fila dei soldati romani,  li superavano e si davano   ad  una  fuga sparpagliata.. Colto di sorpresa dall’insolito modo di guerreggiare e non potendo disperdere la cavalleria all’inseguimento dei fuggiaschi, il generale romano attaccò i cavalieri di Viriato,  ignaro di cacciarsi in una trappola.

Freschi e riposati, i cavalieri lusitani riuscirono ad allontanarsi  e .Caio Vetilio si pose al loro inseguimento. 

Per ben due giorni il barbaro condottiero lo tenne impegnato con finte fughe e improvvisi attacchi, fino ad arrivare nei pressi di Trebula, dove si apriva una gola stretta e profonda. 

Simulando una nuova fuga, Viriato e i suoi cavalieri penetrarono nella gola, fino  all’estremità. 

Vetilio li inseguì con tutto il suo esercito, ma rimase intrappolato nella gola. Qui, i Lusitani  si erano appostati sulle alture ed avevano ostruito ogni via di fuga e di salvezza.   

Fu una strage.  Seimila soldati romani vi trovarono la morte, tra cui lo stesso  Vetilio.

 

Negli anni successivi Viriato continuò  la sua espansione verso l’interno,  diventando l’incubo di Roma:  la sua tattica di combattimento nuova  ed inconsueta, stava creando una leggenda. Era nata la guerriglia e la lista dei generali romani  sconfitti ed umiliati da questa sua nuova tattica di combattimento  andò  allungandosi.  

Dopo Vetilio toccò a  Caio Plauzio e poi a Claudio Unimano il quale, dopo diverse scaramucce si  scontrò con lui. Fu una sconfitta totale, nella quale perse tutte le insegne e perfino i fasci da generale.   

Ci proverà Fabio Massimo Emiliano, questa volta, a fermare il barbaro condottiero, forte di un esercito  di 17 mila uomini, tra fanti e cavalieri. Seguirono alterne vicende.

Toccò anche a Quinto Pompeo, ma fu ricacciato anch’egli.  

Intorno a Viriato s’era creata  la leggenda e l’impegno romano si fece sempre più pressante.   

Al generale Quinto Fabio Serviliano furono consegnate due Legioni e perfino alcuni elefanti  donati dal re della Numidia e all’inizio i romani ottennero qualche   successo, ma  poi,  Serviliano assediò la città di  Erisone.   

Correva l’anno  140 a.C.  

Viriato ruppe l’assedio e penetrò nella città costringendo i romani a ritirarsi in direzione di una valle  percorsa da  dirupi e fossati, in fondo alla quale il geniale guerrigliero aveva posto una fortificazione.

Fu una sconfitta  totale.

Per evitare un massacro, Serviliano chiese la resa e Viriato la  concesse, mostrando di possedere oltre a qualità  strategiche militari,  anche doti  politiche  e  diplomatiche e non lasciandosi  vincere da quel sentimento di vendetta che per anni lo aveva sempre sostenuto. Sapeva bene che se avesse massacrato quegli uomini in suo potere, Roma non avrebbe mai perdonato e Roma disponeva di  risorse e mezzi illimitati. Così, il guerrigliero  geniale e coraggioso si mutò in diplomatico fine  e  sottile. 

Le sue condizioni di pace furono miti e ragionevoli, tanto da riconoscergli da parte dei Romani, il titolo di “Amico del  popolo romano” e perfino il  dominio sui territori conquistati.   

 

Viriato, però,  eroe schietto e  leale, non aveva fato i conti con l’arroganza del Senato di Roma il quale nemmeno un anno dopo, impugnò il Trattato e gli inviò contro un potente esercito al comando del console Servilio Cepione.  

Il grande guerrigliero, però,  non aveva intenzione di riprendere le ostilità, ma Cepione dette inizio ad una serie di provocazioni.  Ogni tentativo di Pace fallì, ogni trattativa naufragò, soprattutto l’ultimo, che si mutò in un atto di tradimento  da parte di tre dei suoi stessi uomini.  

Che cosa era accaduto?   

Per l’ennesima volta, Viriato  aveva inviato ambasciatori al campo romano per negoziare  un  nuovo accordo.  Si trattava di tre uomini di sua fiducia,  che  il console romano ricevette  sotto la sua tenda e  che dopo un lungo discorso   riuscì  a corrompere.  

Quando i tre tornarono al campo per riferire, di notte, sotto la tenda di Viriato, lo pugnalarono alla gola e fuggirono. Al campo romano, dove tornarono per la ricompensa, furono scacciati in malo modo.

Il cordoglio per quella morte fu grandissimo; il popolo pianse il suo grande Condottiero e gli tributò eccezionali onori funebri.  

Viriato aveva perso la  vita, ma la penisola iberica aveva perso la sua indipendenza.

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