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al testo di Donatella Nardin
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Preme all’approdo d’acque la città che in sé oscilla e vacilla e chiede voce nell’onda vagabonda, vittima in piena di una cascata armata di cemento, sovvertimento che si fa vanto di un dominio ipotetico del mondo aprendo tre piaghe ulcerose alle sue bocche. Nel dolore notturno presto saranno occluse tutte le vene, le voci azzurre del mare poste nella teca di un astratto fulgore, nella sfida infelice che induce a scorticare resti d’arte morente, nella febbre di luce che indugia sugli ori bizantini. Questo narra la pena altrui degli occhi, essendo noi ciechi e murati, chiosa albina d’antica stirpe leonina, candida schiuma che più non riconosce i suoi canali
noi, costretti a giorni chiusi di cammino.
* Dall’epigrafe murata nella sede del Magistrato alle Acque di Venezia : “La città dei Veneti per volere della Divina Provvidenza fondata sulle acque… è protetta da acque in luogo di mura: chiunque oserà arrecare nocumento, sia condannato come nemico della Patria e sia punito… Il diritto di questo editto sia immutabile e perpetuo.”
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