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Non capiva perché certe cose dovessero capitare sempre a chi apparteneva al suo genere.

I riflettori, per esempio, ne avevano più volte ripreso il vissuto.

Perciò quella sera, giunto il momento fatidico, decise di giocare d’astuzia.

Appena fu possibile, si mosse e cambiò la pagina del calendario su cui LORO facevano affidamento. Si vestì d’altro genere e uscì.

Il cielo era puntellato di stelle, la luna appena un graffio. Perfetto. L’oscurità giusta.

Non stava nelle vesti per l’eccitazione. E cercava di cogliere ogni scansione di quel mondo che periodicamente pareva aspettare la sua libera uscita.

All’inizio, camminava a passi lenti e guardinghi, sospettando di ogni ombra di luce; poi prese fiducia e si rallegrò nell’andatura, rendendola a tratti veloce e argentina, come gocce di pioggia.

Il suo era un cuore bambino che non aveva mai vissuto, eppure idealmente lo conosceva. Ciò di cui si sente  e sa … esiste aldilà di se stessi.

Dalla strada ai viottoli, “tutta mia la città”, e pensò a un’antica canzone sentita da uno che osservava, più delle vesti, un corpo che non esisteva.

Passarono due sagome, abbracciate, si sussurravano certamente il paradiso, perché potevano almeno sperare in un paradiso. Non come chi dipendeva dalle mani che costruivano.

Eppure per gli occhi  poca la differenza, che la penombra annullava.

Si accorse di un ponte. Fantasmatici lampioni ne  illuminavano sprazzi.

Il suo sguardo fu attratto da un’altra sagoma,  che stava nel punto centrale di quell’arco.

Sentì uno strano timore,  ma cosa poteva temere oltre LORO, riflettori rifuggiti?

Si avvicinò quel tanto da poter vedere bene la scena.

Si trattava di un uomo che indossava un frak, proprio come chi nel momento lo stava guardando.

Ebbe un brivido e ne fu felice. Era comunque un segno di vita.

Sapeva di non poterlo aiutare.

Finto il suo genere, finta lei.

Che senso aveva quella libera uscita?

Un bicchiere d’acqua nel deserto.

Una consapevolezza infinita le marchiò l’idea infinita.

Perciò ritornò sui suoi passi e alla sua vetrina: MANICHINO.

 

 

 

 

 

  

* Liberamente ispirato al telefilm “Ore perdute” della serie Ai confini della realtà (1959)

 

 Glauco Ballantini - 27/10/2014 08:57:00 [ leggi altri commenti di Glauco Ballantini » ]

Bello, il finale a sorpresa, ne ho scritti un paio, mi piacciono i finali a sorpresa perchè spiazzano nelle due righe finali. Il colpo di scena, ha il profumo del teatro....

 Silvia De Angelis - 25/10/2014 10:49:00 [ leggi altri commenti di Silvia De Angelis » ]

Molto originale, e di gradita lettura, questo racconto, che esce dagli usuali schemi di scrittura
Buon sabato Elsa, silvia

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