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I brividi del sole

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I brividi del sole

4 Febbraio 2012, torna la neve a Roma:
il giorno dopo, un pettirosso è sceso
spaurito e fiero nel mio giardino…


Sulla neve, dalla neve giù arrivi
a me che da sempre – o mai più –
t’aspettavo… Rotola il volo, zampetta
lì, grigioperla sul bianco… Tanto lieve
da fermare il respiro, e riammonirlo!
Principino d’Ardore, suo severo batuffolo...
Amore senza aggettivo, bianco senza colore,
che arrossisce a donarsi e già s’insanguina
come un sogno trasmigrato a lenirci.


Buffo il Sublime s’accontenta, sacramenta
le poche briciole scosse dalla tovaglia:
ciacole, mollichine del pranzo di oggi…
Frulli, poi rincalzi le ali, ma pesi, vali
nello sguardo – e già lo liberi, con te in volo
come brilla un nome, ogni bacio baciato,
radioso freddo strofinato in tepore.

Pettirosso che tremi ma ci insegni
la paura che sempre ti arrechiamo,
soppesiamo nascosti, rapiti dietro i vetri,
ogni finestra accesa di Realtà… Ritorni,
ridiscendi – ma sempre teso a scappare…
Due spilli neri, gli occhi, pungono carezze:
le alette precipiti e tremanti, convulse
nell’enigma che pur giungi a irradiare…


Feritoia di luce, bianco che si ferisce – appena
un attimo, duole e ne sorride. Poi si scioglie
in neve, ghiaccia nell’oltre, ci visita il cuore.
Miracola le ali e torna in cielo, minuscolo
a propagandare l’Immenso: come un apostolo
la sua parabola racconta, c’infebbra in briciole.



Il canto è nostro, per questo tu lo taci,
scheggi l’azzurro e raspi, limi l’anima
quasi tronco o metallo… Stridi felice, ma
noi già ti perdiamo, se per capirti dobbiamo
perderti, amarti mentre fatato guizzi via,
torni luce nel bianco! – ferita e feritoia,
briciole coronate di sguardo, calore d’occhi…


Non c’è dolore in cielo, tu lo salvi quaggiù.
Ora la neve è carta, e s’addormenta: poi ci
risveglia, assieme, ali e parole, i brividi del sole.
Svoli via nello sguardo, torni parola – questa – .
Il petto rosso ci sarà promessa, ogni nostra ferita
che il Mondo sta guarendo, perdonata d’Amore.



 Gian Piero Stefanoni - 21/02/2014 12:39:00 [ leggi altri commenti di Gian Piero Stefanoni » ]

PER PLINIO PERILLI, PEI SUOI- NOSTRI- BRIVIDI AL SOLE.


Quale oro delle ferite ci consegna per mani tremanti, ancora, tra il gelo e la rivelazione, Plinio, dal minuscolo propagato all’Immenso? Che il canto è nostro, certo, ma che per alzarlo, forse, lo dobbiamo salvare, destare quaggiù.

Sì ma da quale nota che mai più s’aspettava? Da quale sguardo? Non dal pensiero, che non ci libera; non dall’ irriflesso che la nostra materia trattiene per mortificazione perduta. Allora, un ricordo, la propagazione di un’eco nell’unità di quel salto che sulla neve rammenta la terra venendo dal cielo.

Buffo davvero il Sublime che torna a noi volendoci piccoli per sacramento perfetto. Ci consegna alla luce delle icone frugando con alette il giardino, al giardino ribattezzando speranza se l’anima volge all’insieme nello sguardo già risanato.

“Non c’è dolore in cielo, tu lo salvi quaggiù”, conclude Plinio, chiamando, levando il coro per noi. Lo Spirito è nella meraviglia annunziata, pettirosso, colomba, misericordia che finalmente- e per sempre- ci darà un nome poi nella Pasqua.





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