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al testo di Amina Narimi
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Seduta come una montagna ti offro il mio silenzio con una mano sola, e una preghiera, avvoltolata nella manica, dritta nella luce, senza peso con lo sguardo azzurro io ti cerco nella nostra forma mobile di eternità, inalando spazi la prateria dell’anima e un nervo scoperto ai confini dell’umano che santifica la perdita in candore Sul tetto del cedro del Libano, a guardia dell’eredità, vi era appena una voce, e lo sguardo solo percepiva dal basso le parole, dalla selce primordiale, con tutto il buio sulla schiena è un rumore bianco, chiamato dall’infanzia un posto in fondo al cuore, dove tutto ha inizio non c’è erba più erba dell’erba scossa dal vento di un sogno che attecchisce alla terra Tornerà dentro l’inverno con un fiore sulla tavola di cera dell’ascolto a mangiarsi la gioia trattenuta alleggerendo il fiato fino all’inno nel pane sostanziale più prossimo a quel volto, accogliendo sulla lingua le ossessioni di piccoli dolori, di quadri che si bucano negli angoli più esposti, pieni di pudore La voce si congeda sul terriccio cercando una tana per dormire negli umori dell’anima, si addentra, mettendo una parola accanto all’altra, un'essenza di luce che l’aumenti, che la tenga in vita- dove la ferita è il solco che attende per la semina, premendo nella bocca i grani, le tracce favolose- per ritrovare la strada in un’acqua più grande di noi, per affacciarsi interi, con i volti illuminati, e versi brevi nell'ora più acuta che ci viene addolcita nell’esicasmo: "per te” cerco di pregare come prega una montagna restando come in volo nel fondo del respiro mormorando a mezza voce il canto delle rondini nuovamente pari a stelle, prima di noi, felici Opere: Okusai, Monte Fuji |
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