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al testo proposto da Loredana Savelli
Siesta
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È l’ora di lucidità spietata quando non interrompe anima viva il filo delle vie tagliate a squadra per tutto l’entroterra fino ai moli E un lampo come d’ali che saetta nell’aria e scherza lungo le cornici mette in croce chi regge a occhi sbarrati nel tempo della siesta questo assedio dell’acqua dalle darsene e i canali: quei pochi che la vigilanza esige lungo i muri della dogana o fermi nelle garitte, privi anche del filo di sonno sotto fogli di giornale o sacchi di juta presso le gru e i ponti.
Da dietro queste sbarre di serranda vivo tutta minuto per minuto da sveglio questa esitazione atroce tra il mio mattino e la mia notte; al più fo come fa il ragazzo irriducibile che va e viene nel suo andito buio, smania, pilucca l’uva ancora verde dalla pergola dietro casa, affretta l’ora della sortita e del declino.
Mia madre, mia eterna margherita che piangi e mi sorridi viva ora più di prima, lo so, lo so quel che dovrei, pazienza di forte non è questa ostinazione d’uomo che teme la sua resa. Forza è pace. Il sopore che s’insinua nell’ora giusta fra due giuste veglie è forza anch’esso, non viltà. Ma ormai che i tuoi occhi mi s’aprono solamente nell’anima, due punti tenaci al fondo del braciere con cui guardare tutto il resto, o santa, non è il taglio a fil di lama che partisce ombra e sole in queste vie puntate contro il fuoco del mare all’orizzonte, è un altro il segno a cui dovrò tener fronte, segno che ferisce, passa da parte a parte.
(da Dal fondo delle campagne, Einaudi, 1965)
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