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al testo di Amina Narimi
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La gola dice mare, quel che resta, sull’autostrada del Sole, nelle pieghe delle cose chiamata dentro, amata via via più semplice la bava del cielo, e le labbra, al limite del gioco, gonfiano di sale un verso e lui, nel fiore degli occhi, la chiama innocenza, mentre trascrivo con pudore le sue parole, tralasciando il clamore superficiale, esausta e serena sono a casa - qui, deve esserci la quiete e di nuovo campi per il vento, adeguati al corpo, al nulla che mi afferra, tanto poco vergine, senza condizioni, come una nube mi allargo, masticando sassi e cantilene - con la pioggia raccolta ad aspettare.
Protendo il pugno del respiro, ma sembra un fiore, succhiato dalla voce; un pane che ha radici, amare, pegno e impegno, costante e fedele. lo proteggo, con la mia nudità semplice e antica. Nel silenzio di gioia, ho lasciato il mare, a perfetta distanza da te.
Pronuncio terra, come un amore tenuto stretto nel suo cerchio, il suo scorrere, la sua luce nell’ultima più angusta cavità del cuore senza giudicare, come un frutto che matura trasformo le mie lacrime nel contemplare, il sapore di dolcezza, che ritorna ancora, nella lingua dei pesci, e preme ed entra dalle dita luminose, distese sulla spiaggia l’ultima volta per te, vive, nell’unione
come adesso che ti parlo, alla bocca del fiume, e celebro tutto ciò che vedo, in bilico, su un ramo, il senso della luce che libera gli uccelli. |
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