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al testo proposto da Loredana Savelli
Davanti alle Terme di Caracalla
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Corron tra 'l Celio fosche e l'Aventino le nubi: il vento dal pian tristo move umido: in fondo stanno i monti albani bianchi di nevi.
A le cineree trecce alzato il velo verde, nel libro una britanna cerca queste minacce di romane mura al cielo e al tempo.
Continui, densi, neri, crocidanti versansi i corvi come fluttuando contro i due muri ch'a più ardua sfida levansi enormi.
"Vecchi giganti" par che insista irato l'augure stormo "a che tentate il cielo?" Grave per l'aure vien da Laterano suon di campane.
Ed un ciociaro, nel mantello avvolto, grave fischiando tra la folta barba, passa e non guarda. Febbre, io qui t'invoco, nume presente.
Se ti fur cari i grandi occhi piangenti e de le madri le protese braccia te deprecanti, o dea, da 'l reclinato capo de i figli:
se ti fu cara su 'l Palazio eccelso l'ara vetusta (ancor lambiva il Tebro l'evandrio colle, e veleggiando a sera tra 'l Campidoglio
e l'Aventino il reduce quirite guardava in alto la città quadrata dal sole arrisa, e mormorava un lento saturnio carme);
febbre, m'ascolta. Gli uomini novelli quinci respingi e lor picciole cose: religïoso è questo orror: la dea Roma qui dorme.
Poggiata il capo al Palatino augusto, tra 'l Celio aperte e l'Aventin le braccia, per la Capena i forti omeri stende a l'Appia via. http://www.poesieracconti.it/poesie/a/giosue-carducci/davanti-alle-terme-di-caracalla
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