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Spugna damore

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Mi chiedi se ricordo quando siamo nati.

Posso vedere solo il mondo,

attraverso i tuoi occhi di dolore

e nel piacere, una proiezione di memorie

nella mente. Tuttavia è oltre

quei confini che si stende

una remota immensità di gioia,

ed è una casa quell’amore eterno

dentro la coscienza. c’è la prova

della mia indimostrabile esperienza-

chi altri può se la realtà dell’altro è pari

al suo apparire nella mia esperienza?-

 

Ma non siamo soli nell’essere profondo- amore-

siamo il tutto, quando percepiamo con il niente

il sussurro  delle stelle, siamo il Dio

che non sappiamo nell’essenza,

la spinta indietro che ci fa andare  avanti

consapevoli, da sempre, universali liberi

 

senza confondere il ricordo nella conoscenza

sempre fresca e nuova; è, la nostra ciotola

da mendicanti, d’oro puro, e noi dei miserabili,

finchè non la vediamo : in modo naturale,

portando a brillare la realtà, sinceri,

senza parole per comunicare senza idee-

non puoi mangiare la parola “pane”

immaginando di conoscere

solo ciò che possiamo definire,

se porti alla bocca la realtà c’è amore

con azioni religiose e silenziose, insieme

chiedi, e ti sarà dato-  per non rimanere

un sacco d’ossa nelle citazioni sacre.

 

Ho toccato la materia nella stanza buia

mentre dipingevi  l’intero mondo un quadro,

il pittore Dio, e tu, che contenevi il mondo e lui,

nell’atto di conoscenza  puro essere

quando hai spalancato la finestra

inondandomi di luce a gioia,

stava tutta dalla parte della stanza,

e non del sole, la misura del candore

nell’estasi del dare. Non ho dimenticato

quella luce, di quando siamo nati

non posso ricordare

o attendermi la fine, invece,

perchè non è mai accaduto.

 

Nell’infinito impercettibile di un compito

siamo seme l’uno all’altro aperto

in piena fioritura, siamo gioia,

che di volta in volta vola senza fine,

una ghirlanda di luci, le più intense,

nell’andirivieni  di questo cuore umano,

pagliuzze d’oro, nel palmo della mano

spugna d’amore -che chiamiamo pane,

riducendola in parola-

                         il terreno che l’accoglie

e ama.

 

 

 Franca Alaimo - 09/09/2014 18:44:00 [ leggi altri commenti di Franca Alaimo » ]

E’ una poesia sul processo di conoscenza che l’uomo mette in atto per capire l’inesauribile vastità e complessità del mondo, che altro non è che un "quadro" che il pittore Dio continua a comporre. L’uomo lo conosce attraverso i sensi fisici, ma bisogna ch egli spalanchi quelli interiori del cuore e dello spirito per comprenderne l’essenza. Ecco perché l’amato che spalanca la finestra al mattino inondando la stanza di luce e gioia rappresenta anche una metafora di quest’atto conoscitivo globale.
E’ infatti l’Amore che solo può cum-prehendere il tutto, se esso corrisponde ad un’autentica apertura. "La Luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta", recita l’incipit del vangelo secondo Giovanni. La luce del sole è della stessa sostanza di quella che ci splende dentro: bisogna solo imparare ad accoglierla.

 Sara Cristofori - 08/09/2014 15:25:00 [ leggi altri commenti di Sara Cristofori » ]

Amina, la tua poesia è talmente "tanta", che sarebbe presunzione commentarla, a me basta riempirmi col leggerla :)

  Cristina Bizzarri - 08/09/2014 07:07:00 [ leggi altri commenti di Cristina Bizzarri » ]

Amina Narimi, al limite estremo della parola, affacciata sull’essenza - dopo aver attraversato il mare della sapienza resta una semplicità nuda. Come di innocenti.

 Lorenzo Mullon - 07/09/2014 20:48:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

ma allora, se non v’è che "io", dov’è "Dio"?
sparito?
allora è vero, siamo noi a creare il mondo, col nostro sguardo, il nostro umore, il nostro dubbio etc.
"Dio" non è necessario, è solo un simbolo, un’idea, non una persona . . . .

bellissima poesia, incantato, come sempre
grazie

 Paolo Melandri - 07/09/2014 20:29:00 [ leggi altri commenti di Paolo Melandri » ]

Carissima Amina! Ecco che un sorriso ha illuminato il mio viso e dolci onde lambiscono il mondo con le loro carezze. Le nebbie si sono dissipate sulla superficie dei pianeti, e i soli giocano gioiosamente con i loro raggi (li illuminano). Lo slancio, tuo?, mio?... nostro?... crea i mondi - lontano dal centro, sempre fuori dal centro (?)
Io creo il mondo con il gioco del mio umore, con il mio sorriso, il mio sospiro, la mia carezza, il mio cruccio, la mia speranza, il mio dubbio.
Lo stesso si può dire di te - tanto che puoi leggere "io" in prima persona, "io, Amina Narimi" - e non "tu, Paolo Melandri"... le determinazioni si riferiscono al "piccolo io", non al "grande io", il quale è incarnato in noi, e siamo noi, la nostra essenza. Ma "noi" è detto per semplificazione... non v’è che "io"... Come sempre molto ammirato sapienza e caleidoscopica ricchezza tue composizioni reminescenti Hafez, Novalis e i grandi mistici...

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