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al testo di Amina Narimi
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Mi chiedi se ricordo quando siamo nati. Posso vedere solo il mondo, attraverso i tuoi occhi di dolore e nel piacere, una proiezione di memorie nella mente. Tuttavia è oltre quei confini che si stende una remota immensità di gioia, ed è una casa quell’amore eterno dentro la coscienza. c’è la prova della mia indimostrabile esperienza- chi altri può se la realtà dell’altro è pari al suo apparire nella mia esperienza?-
Ma non siamo soli nell’essere profondo- amore- siamo il tutto, quando percepiamo con il niente il sussurro delle stelle, siamo il Dio che non sappiamo nell’essenza, la spinta indietro che ci fa andare avanti consapevoli, da sempre, universali liberi
senza confondere il ricordo nella conoscenza sempre fresca e nuova; è, la nostra ciotola da mendicanti, d’oro puro, e noi dei miserabili, finchè non la vediamo : in modo naturale, portando a brillare la realtà, sinceri, senza parole per comunicare senza idee- non puoi mangiare la parola “pane” immaginando di conoscere solo ciò che possiamo definire, se porti alla bocca la realtà c’è amore con azioni religiose e silenziose, insieme chiedi, e ti sarà dato- per non rimanere un sacco d’ossa nelle citazioni sacre.
Ho toccato la materia nella stanza buia mentre dipingevi l’intero mondo un quadro, il pittore Dio, e tu, che contenevi il mondo e lui, nell’atto di conoscenza puro essere quando hai spalancato la finestra inondandomi di luce a gioia, stava tutta dalla parte della stanza, e non del sole, la misura del candore nell’estasi del dare. Non ho dimenticato quella luce, di quando siamo nati non posso ricordare o attendermi la fine, invece, perchè non è mai accaduto.
Nell’infinito impercettibile di un compito siamo seme l’uno all’altro aperto in piena fioritura, siamo gioia, che di volta in volta vola senza fine, una ghirlanda di luci, le più intense, nell’andirivieni di questo cuore umano, pagliuzze d’oro, nel palmo della mano spugna d’amore -che chiamiamo pane, riducendola in parola- il terreno che l’accoglie e ama.
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