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Gabriele DAnnunzio

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Il poeta tanto amato dalle donne nasce a Pescara (Italia), il 12 marzo del 1863 e muore all’età di settantaquattro anni, per un’emorragia cerebrale il primo marzo del 1938, a Gardone Riviera. Di due cose possiamo essere certi, pensando a lui: fu un poeta ed un amatore nato. Liceale, va a vivere per qualche tempo a casa del professore Tito Zucconi, ex garibaldino, insegnante di lingue e letterature straniere al Regio Convitto Cicognini di Prato, definito da D’Annunzio “gran seminario laicale istituito per isterilire e inaridire le più fervide semenze”, dove Gabriele aveva brillantemente concluso i suoi studi il 27 giugno 1881 conseguendo la “Licenza d’onore”. Tito Zucconi aveva cinque figlie di cui la diciassettenne Giselda, ribattezzata Elda o Lalla dal poeta, è la maggiore. Sarà il suo primo vero amore cui dedicherà i componimenti di «Canto Novo». Troviamo notizie in un volume di Ugo Ojetti dal titolo “Cose viste” edito nel 1928 . L’intera storia è difatti raccontata sotto il titolo: “D’Annunzio innamorato” del 1926: Ojetti riferisce: “La fortuna mi ha preparato un ferragosto felice: mi ha messo per un giorno tra mano duecento lettere che a diciannove anni, dal primo dicembre 1881 al 23 gennaio 1883 Gabriele D’annunzio ha scritto a Lalla” . Nel 1882 sposa la duchessina Maria Altemps Hordouin di Gallese, figlia dei proprietari di palazzo Altemps. Nella sua vita sarà perseguitato dagli amori e dai debiti: la parsimonia non era il suo forte. Nel 1886 ha già due figli con la moglie,che aveva sedotta e sposata appena ventenne e in quei mesi era in attesa del terzo, quando vive un tempestoso amore con Elvira Natalia Fraternali, conosciuta a Roma il 2 aprile 1887, a un concerto, presso il circolo artistico di via Margutta. Lei era nata a Roma, in una buona famiglia della piccola borghesia, da Nicola e da Angela Pellicciani il 26 dicembre 1862, pochi mesi prima di Gabriele. Nel 1884, dietro pressione dei suoi, aveva sposato Ercole Leoni, un conte bolognese senza contea ma economicamente ben messo. L’unione, però, dopo un aborto che l’aveva resa sterile, era ben presto naufragata e la donna era tornata a vivere con i genitori. Nel 1893 affronta un processo per adulterio. Vediamo come: Quando D’Annunzio conobbe la contessa Maria gravina Cruyllas di Ramacca sposata con il conte Anguissola nell’estate del 1891, Maria era già madre di quattro figli. Nell’ottobre del 1892 il marito li sorprese nell’appartamento di via Caracciolo a Napoli, dove si incontravano da mesi, e denunciò la coppia per adulterio. Il nove gennaio del 1893 dalla relazione dei due nacque Renata, che diventerà la figlia prediletta di D’Annunzio. Il 29 luglio del 1893 gli amanti furono condannati per adulterio a cinque mesi di reclusione e la sentenza fu sospesa soltanto grazie ad una amnistia regia. In seguito vissero assieme in miseria, però non durò e, benché D’Annunzio mantenesse rapporti con la Gravina a causa della figlia, la relazione sentimentale era già finita nel 1894. Quando la donna ebbe un altro figlio il poeta non volle riconoscerlo perché accusava la siciliana di avere una grande libertà di costumi. In ogni caso, poté liberarsi della Gravina soltanto quando, si era al 1903, Eleonora Duse si prese carico di sovvenzionare l’istruzione di Renata al Collegio di Poggio Imperiale di Firenze. Ritiratosi in convento, scrive “Il piacere”. Scriverà poi “Il trionfo della morte”. "Le vergini delle rocce" sarà pubblicato in volume, editrice Treves, nel 1896. Il dramma "Francesca da Rimini" è del 1901, intanto produce le liriche di "Alcyone" e il ciclo delle Laudi. Il dramma la "Figlia di Iorio" sarà rappresentato al Lirico di Milano. Passa dalla relazione con Eleonora Duse all’amore per Alessandra di Rudinì, vedova Carlotti. Saranno una “strana coppia”: lei ventisettenne, è alta quasi un metro ed ottanta, mentre D’Annunzio, quarantenne, supera di poco il metro e sessanta. Sono tempi magici nella “Capponcina”, la villa quattrocentesca di Settignano, sui colli di Firenze, con un mare di personale, di cavalli e cani (tra levrieri e da caccia). Gabriele vorrebbe sposarsi, però non ottiene il divorzio. Nel 1905 Alessandra si ammala di un tumore all’ovaio e subisce tre interventi chirurgici e una lunga degenza nella clinica fiorentina del prof. Pestalozza. Gabriele l'assiste, però la lascia, dopo che si rende conto di come la sua amante sia divenuta preda della morfina, probabilmente a causa dei dolori causati dalla malattia. Il suo nuovo amore sarà Giuseppina Mancini, che abita a Firenze. Alessandra, da Roma, lo cerca e per un periodo tornerà con lei trascorrendo una specie di vacanza nella villa “La Versiliana” di Pietrasanta, con i figli di entrambi. Lei pronuncerà i voti, nell’ottobre 1911 e diverrà Madre Superiora. Gabriele, intanto, si dà alla fuga in Francia nel 1910 per sfuggire ai debiti ed è con una nuova donna: la russa Natalia Victor de Goloubeff. Vi resterà cinque anni. É del 1912 la tragedia in versi "Parisina", musicata da Mascagni; intanto si lancia in nuove avventure partecipando alla realizzazione del film "Cabiria" (di Pastrone) e scrive la sua prima opera cinematografica, ossia "La crociata degli innocenti". D'Annunzio tornerà in Italia per la prima guerra mondiale, convinto com’è che possa rappresentare per lui il vero sentimento dell’eroismo, avendo quindi appoggiato con convinzione l'entrata in guerra contro l'impero Austro-ungarico. Sarà soldato da subito, arruolandosi come tenente dei Lancieri di Novara e nel 1916 (Il 16 febbraio 1916 o, invece il ventitré dello stesso mese), gli capita un “incidente”, laddove non lui, ma Luigi Bologna era alla guida di un idrovolante e Gabriele D’Annunzio come osservatore. Le ipotesi sono due: o l’aereo colpì l’acqua e il colpo ebbe un impatto contro gli occhi del poeta, oppure D’Annunzio batté violentemente con il viso contro la mitragliera, in ogni caso per una manovra sbagliata del pilota. Purtroppo Gabriele D’Annunzio perse per sempre l’uso di un occhio in un’avventura che non aveva nulla di eroico. Tre mesi nell’immobilità al buio, che gli fecero comporre su liste di carta la prosa memoriale e frammentaria del "Notturno". Eroico, lo ritroviamo, invece, nella Beffa di Buccari e nel volo su Vienna con il lancio di manifestini tricolori. Il "soldato" D'Annunzio considera l'esito della guerra come una vittoria mutilata: vorrebbe l'annessione dell'Istria e della Dalmazia e guida la marcia su Fiume, che occupa il 12 settembre 1919. Sappiamo che d’Annunzio, se non fascista, sarà chiaramente un entusiasta di Mussolini e certamente non rifiuterà gli onori e gli omaggi del regime. Nel 1924 (dopo l'annessione di Fiume), è nominato dal Re, principe di Montenevoso, è del 1926 il progetto dell'edizione "Opera Omnia" e (dovremo dire finalmente in una posizione economica agiata, senza fuggire dai debiti), per via dei contratti con la casa editrice "L'Oleandro" riceve profitti e sovvenzioni (grazie a Mussolini). D'Annunzio lascia in eredità allo stato la villa di Cargnacco, riceve i finanziamenti allo scopo di trasformarla in una residenza monumentale e la converte così nel «Vittoriale degli Italiani». Sara il suo domicilio da anziano e vi ospiterà la pianista Luisa Bàccara. L’ultima compagna di Gabriele D' Annunzio (che gli fu vicina vent'anni, fino alla morte del poeta nel 1938), aveva conosciuto D' Annunzio nel 1919, a Palazzo Vidal, durante un breve concerto improvvisato in suo onore. Dopo la morte di Gabriele, Luisa Baccara lasciò il Vittoriale e si ritirò a Venezia, vivendo modestamente dando lezioni di pianoforte. E' morta nel 1965, nel reparto lungodegenti dell’ospedale geriatrico Giustiniana di Venezia e della relazione con il poeta resta un importante carteggio. Guardando alla grafia del poeta, si riesce, anche attraverso le sole immagini, a verificare che si tratti di un “calibro grande” e non ce ne stupiamo: verifichiamo l’egocentrismo dello scrittore che, come bel foglio, si espande nello spazio parentale, amicale e sentimentale, senza lasciare la possibilità agli altri di una minima intromissione. Non ammette critiche, anche perché soggetto a “momenti neri”, le teme e le evita, schivando lo stato d’animo depresso che ne deriverebbe. Preferisce, quindi, non permettere che altri gli facciano riconoscere i suoi limiti. Riscontriamo una scrittura in parte Angolosa (nel sistema morettiano il segno Angolosa, essenziale riguardo al sentimento, implica una particolare forma di egoismo, corrispondente a quella spinta interiore che pone in luce e potenzia l’unicità del carattere), tuttavia il soggetto presenta un buon Largo tra lettere, che determina lo spazio accordato agli altri in rapporto alla stima che si ha del proprio sé. Annotiamo un margine sinistro ampio, tipico di chi mal sopporta ogni costrizione, una (probabilmente innata), tendenza all’indipendenza che lo conduce all’inadeguatezza di adattamento anche alla sottomissione amorosa e amicale. Per quanto riguarda il rapporto con il Regime e Mussolini, l’accettazione era di convenienza, probabilmente anche da parte dello stesso Duce cui l’eroico poeta conveniva come amico a scopo pubblicitario. Vi si riscontrano tutte le tipologie di “ricci”, della spavalderia, della vanità e dell’ideazione artistica, che ci mostrano come quest’uomo, apparentemente sicuro di sé, in realtà non sopporti di essere posto in discussione, si mostri arrogante e sicuro anche quando non lo è, mal sopportando che qualcuno lo possa comprendere a fondo e riconoscere in lui segni d’incertezza. Conosciamo, difatti, in D’Annunzio, un’estrema irruenza e istintività e pur riscontrando la capacità di osservare il punto di vista degli altri si avverte che non permette all’altro di esprimere il proprio concetto, Largo tra lettere viene dunque messo in secondo piano. Una grafia spontanea la ritroviamo nell’Immagine della lettera alla madre (Luisa De Benedictis - donna Luisetta -), di cui si dice fosse innamorato, malgrado ciò nella parte sinistra del foglio (laddove viene messo in evidenza il legame con l’ambiente di origine e la figura materna, vista come confortevole e affettuosa), il margine è, come si è visto, ampio, chiarendo in D’Annunzio la voglia di libertà e distacco dalla famiglia di origine. Nella lettera è stretto il margine inferiore, per cui si conferma la sua irruenza, che non gli ha permesso di organizzarsi nello spazio e ad essere flessibile. Stretto anche il margine superiore, laddove, in modo concreto, si caratterizza lo spazio lasciato alle autorità. Il poeta si mostra come persona che non nutre particolare rispetto per i ruoli, né in ambito familiare né sociale. Uno spirito ribelle, come più volte si è mostrato anche durante le azioni belliche. Il margine destro, che raffigura la voglia di andare incontro al futuro, fare progetti e pervenire ad obiettivi personali, appare stretto e discontinuo. La baldanza si nota anche nei tratti finali delle lettere e delle “T” lunghi ed evidenti, l’intera grafia, lanciata e impulsiva ci parla della sua tendenza continua al raggiungimento degli scopi, compreso quello sensuale e personale; annotiamo che lo scritto, vergato a penna (con l’inchiostro), appare pastoso e, a tratti, quasi cromatico, in cui si riscontrano parti più dense, confermandoci il suo contatto con la vita concreto, materiale, erotico. Da quei tratteggi incostanti, ora caldi, ora aridi, annotiamo anche il suo umore instabile, così come l’andamento della scrittura, che non segue alcun rigo. Doveva essere un individuo difficile con cui vivere e che trovava difficile vivere costantemente un rapporto, in quanto si lasciava trascinare dalle passioni più fulminee. Il che, poi, è la trama dei suoi romanzi e della sua vita vera.

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