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La bottiglia di Coty

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La bottiglia di Coty Ida aveva sposato, per un fattore di convenienza, Angelo, buon sarto da uomo, diplomato alla Casa degli Artigianelli di Padre Piamarta, fatto che gli aveva evitato quella vita da emarginato che gli sarebbe toccata per via della disabilità nell’andatura, sua afflizione sin dalla nascita. Angelo era nato nel Quattordici, giovanotto durante il Ventennio della scultorea bellezza ariana, quindi, lui, semplicemente zoppo. Ida, bella formosa ragazza padovana, ottima pantalonaia, era la compagna ideale per un sarto, ancor più ideale per un difetto alla gamba sinistra, più grossa e più corta della destra; niente di trascendentale, per carità, ma ciò le conferiva un caracollante modo di incedere, meritevole da parte dei beceri pettegoli del paese dell’appellativo di zoppettona. Ida e Angelo, entrambi zoppi, coppia perfetta e solidale. Non fu mai una bella vita, quella di Ida: eppure, dotata di una certa classe, di buon gusto e fantasia, investiva la propria creatività tutta nel cucire deliziosi abitini per le donne piccole e grandi della numerosa famiglia. Ugualmente, condusse una vita tribolata, piena di umiliazioni grazie soprattutto al feroce maschilismo di Angelo. L’unione non fu allietata dalla nascita di figli, con dolore di Ida che avrebbe saputo amarli profondamente. Invece nulla: una vita arida, solitaria, senza un’abitazione propria, solo una enorme casa sotto l’egida della grande madre, la suocera. C’era però un posto suo, intimamente suo: la camera da letto, non perché vi trascorresse folli momenti di passione con Angelo, ma, in quella famiglia, nessuno poteva entrare nella camera da letto degli altri. Nella stanza, Ida aveva sistemato un bellissimo comò, manufatto raffinato di un mo-biliere veneto. Sul ripiano, ricoperto da una striscia bianca di lino ricamato, si trovavano la Maria Bambina, dono di nozze della madre, il cofanetto portagioie di legno di rosa e una bottiglia di profumo francese creato con essenze di assoluto pregio. Ogni tanto, Ida ne trasferiva piccole quantità nel nebulizzatore e, nelle occasioni importanti, vaporizzava da lontano capelli e vestiti, creandosi attorno quello che lei chiamava “odore da signora”. Il profumo durò trent’anni o forse più: alla fine, aveva assunto il colore di un buon cognac invecchiato, lasciando, dopo la definitiva evaporazione, tracce quasi solide di ambra e mirra negli anfratti della bottiglia di Baccarat. Ida non permise mai a nessuno di toccare il profumo: a volte si metteva lì, appoggiata con il gomito al ripiano del comò, il mento nell’incavo della mano, e pensava. Nessun pensiero definito, concluso. Lasciava correre le immagini e i ricordi senza porvi né freni né confini, la porta della stanza chiusa, chiusi fuori rumori e ingerenze. Giunta alla soglia dei sessant’anni, Ida, prosciugata ogni energia vitale mentre il profumo svaporava le proprie essenze, prese la splendida bottiglia, la lavò accuratamente, ad eccezione del tappo, che conservava la fragranza del Coty, la riempì per metà di sabbia e terriccio e vi spolverò alcuni semi di ruta sfregando pollice e indice. Non era ambiente adatto alla semina, la camera sempre in penombra, tuttavia la ruta germinò e crebbe. Ida, nei momenti di meditazione sognante, guardava la ruta e annusava il tappo e, in quel periodo, germinò con la ruta la sua quieta dolce follia…. che non rimase a lungo latente. In un caldo afoso giorno di Luglio, di primo pomeriggio, nel momento dell’ intima solitaria trasognanza di Ida, Angelo entrò nella stanza spalancando con furia la porta. - Moglie! Ti sto chiamando da un’ora. - Che cosa vuoi? Che ti lavi i piedi? Che ti infili le calze? Che ti allacci le scarpe? La voce di Ida era monocorde, bassa, gelida, lo sguardo fisso sulla bottiglia, il naso incollato sul tappo. - Vuoi che ti lavi i calzini, le mutande, che ti svuoti il vaso da notte? Perché non t’arrangi, brutto zoppo, stronzo schiavista? Angelo, appoggiandosi al nodoso bastone, le si avvicinò. - Ma che cavolo…? Sei diventata matta? Sollevò il bastone e colpì con forza la bottiglia, che cadde sul pavimento di graniglia di marmo e si spezzò in due parti. Sabbia, terriccio e germogli di ruta si sparpagliarono ovunque. Ida non mosse un solo muscolo del viso: si chinò, raccolse la mezza bottiglia dalla parte del collo e, tiratasi su, menò un gran fendente verso il marito. Angelo si portò le mani alla gola cercando di trattenere il sangue che zampillava dalla carotide recisa, mentre il bastone cadeva a terra. Lentamente, l’uomo si afflosciò e, gorgogliando, esalò l’ultimo respiro. Ida, con il tappo Baccarat incollato al naso, guardò il marito, si accovacciò, allungò un braccio e, con la punta delle dita, lo scosse lievemente, quindi si tirò su diritta, lo scavalcò, si girò e, guardandolo di nuovo, canticchiò: - …e davanti a lui tremava tutta Roma. Oh dolci baci, oh languide carezze…!

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