E di Istanbul che dire
se la santa sapienza,
velata moschea,
tarda a tenersi perfetta,
coi fumi d’incenso
che più non si vedono
e frammenti di volto
divino riflesso?
La vista si allarga
lungo una riva,
ma certo non chiude sull’altra,
tra minareti a cipresso
e famiglie di cupole quiete.
Colonne spezzate
ai lati di strade,
su marciapiedi erbosi,
al bivacco di vecchi
che giocano a carte,
in ozio speciale.
Le facce del posto,
le parti del luogo
sono molte e lontane,
ma pare di vedere più mondi di fronte.
Il blu dell’acqua non stinge
le terre accostate
da casi cromatici audaci.
E poi altri pilastri
in cisterne giganti,
basiliche piene di fede,
di pesci cresciuti nel buio
e candele votive
al santo del giorno che fu.
Spiare un harem che non c’è
e sentire le voci
che gridano ordini,
sospirano vizi in segreto
e in pubblico dicono virtù.
Un grande bazar identifica
la città incomparabile,
tra angoli netti di strade coperte
che offrono merci
che puoi non comprare.
Sedere in ginocchio
in moschea,
guardando gli uomini
curvi al profeta,
è passare tra anni
di piedi lavati, di fresco,
che camminano
su trame operose,
su parole a conferma
di preghiere canoniche.
https://giardinodeipoeti.wordpress.com/2012/12/21/vincenzo-errico/comment-page-1/#comment-3675