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al testo di Amina Narimi
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C’è la questione del passato, uno stato glorioso, quando non respiravi. Fino al nulla puoi ricordare senza memoria cosa facevi otto giorni prima di entrare nel grembo di tua madre, dove hai chiuso gli occhi e sei scomparso
un essere. A volte si sente bene la pelle, è il nascondiglio della tua illuminazione, l’universo che tu sei nel sonno, nel sonno profondo della veglia.
Dallo spioncino puoi vedere dal filo d’erba all’infinito il genitore, l'ultimo, senz’occhi, il testimone solo, la radice, che avanzando retrocede, come un mantra, che affonda in cerca d’acqua
Se posi qui la mano, se bevi la preistoria tra le ossa, il caldo umano che ti offre è la poesia che da te si leva, e dappertutto riposa le dita dell’amore, nel cavo dell’onda, i tuoi fragili piedi. Sulla montagna
strappa il cervo irredento alla morte dell’eterno, gridando la parola favolosa nella gola del torrente donando il nostro nome come fosse una culla dove va a posare il mormorio della prima goccia d’acqua.
Proprio dentro le tue mani palpita la gioia tra vergogna e riso sorregge gli sposi con le fiaccole negli occhi |
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