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al testo di Veronica Mogildea
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Ci ha mai pensato qualcuno che si può capire veramente la storia di una nazione soltanto guardando attentamente gli occhi delle sue donne? E quando noti la rassegnazione che domina su tutte le altre espressioni, così è stato prima, così è ora, perché sperare di cambiare? Capisci allora che questo popolo è finito, che non ha futuro, né dignità. Così come non hanno dignità gli uomini di questa nazione che non sanno proteggere e stimare le proprie donne. Madri. Sorelle. Moglie. Figlie. Si può rispettare un popolo che sacrifica le proprie donne, costringendole a delle scelte che non avrebbero mai voluto fare? L'indignazione è grande, ma non voglio cedere alla rabbia che mi cova dentro, anche se in questo momento è l’unico motore che mi spinge in avanti. I pensieri, come in una centrifuga impazzita, continuano a girare. Sono convinta che nelle rughe premature che incidono i volti delle miei compaesane, donne ancora giovani, ma già molto provate, che subiscono e sopportano sin dalla nascita una condizione di inferiorità e sottomissione, accompagnata spesso di violenze e maltrattamenti, occultati abilmente sotto dichiarazioni ipocrite di uguaglianza, si possa leggere la storia di un popolo, il mio popolo, con tutte le sue sofferenze, umiliazioni e disgrazie. E finché non cambierà la condizione femminile, esso sarà condannato ad una esistenza precaria e miserabile ai margini della storia. |
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