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LEGGERE PROUST

 

Marcel Proust , oltre tutto, ci fa capire l’importanza fondamentale che ha la memoria nella vita dei singoli e  dei popoli, proprio in questa nostra epoca che tende a sprofondare paurosamente nella cecità del presente.

In questi ultimi decenni, la tendenza ad oscurare la storia, a ridurre lo spazio della memoria, è insistente: in vari modi, più o meno volontariamente, si cerca di far credere che il passato intralcia il cosiddetto “progresso”, che esso è una zavorra inutile, della quale bisogna liberarsi prima possibile, se si vuole adeguatamente “competere” in campo economico e commerciale.

Se tutto si riduce al presente, crescono più facilmente identità sbiadite, che danno riconoscimento solo al possesso della cosa, totalmente indifferenti a un patrimonio di valori forsanche degno di essere salvaguardato.

E così può accadere, come è già accaduto, che quando si esalta il presente con tutto il corredo di irruente istintività che esso comporta, a discapito della memoria che accomuna, possano emergere le atrocità più impensate, e compiute da uomini “normali”, possa emergere cioè quella barbarie che Hannah Harendt ebbe a definire “banalità del male”.

Quanto la memoria sia, invece, primaria facoltà nell’esplicazione delle faccende umane, lo possiamo costatare empiricamente: senza di essa non saremmo in grado nemmeno di fare la spesa, ma quanto essa sia a fondamento del ciclo vitale nel susseguirsi delle generazioni, in genere sfugge alla nostra riflessione.E’ la memoria che trasmette alle generazioni successive tutti gli strumenti utili a continuare la vita, dalle tecniche di lavoro, alle feste religiose, dalla cura dei bambini, ai legami affettivi, dalla preparazione dei cibi, alle varie concezioni del mondo.

Ecco, leggere  la “Recherche” , oltre all’eccezionale valore estetico, è un antidoto, un indiretto avvertimento, una costante e profonda riflessione sul valore della vicenda umana, sul valore della vita dei singoli, siano essi “grandi” che “piccoli”, solidali umanamente proprio alla luce di quella grande madre comune che è la rete della memoria che ci accomuna.

Ma consideriamo quanto di elevato e significativo ha scritto su di essa Marcel Proust.

Nella “Strada di Swann”, il primo volume della “Recherce”, leggiamo il famoso episodio della “madeleine”, il biscotto inzuppato nella tazza del tè, attraverso cui il protagonista rivive in una sorta di “epifania” un episodio analogo della sua fanciullezza:è il ritrovamento del tempo perduto, la memoria rivissuta, grazie alla quale, dice Proust, <avevo cessato di sentirmi mediocre, contingente, mortale>.

Tre aggettivi che credo riassumano l’essenza della memoria e dell’arte e quindi della storia: privo di quel tempo raddoppiato dal ricordo che eleva l’uomo al di sopra di se stesso, c’è il sentirsi piccino, isolato, schiacciato nell’angustia della propria realtà, come peraltro accade agli animali.

Senza memoria non c’è coscienza, non c’è identità, si sfilaccia il legame morale  e sociale.Senza di essa non sarebbe pensabile nemmeno l’opera d’arte, il romanzo, se non come fatti e fatterelli di cronaca più o meno capaci di suscitare la curiosità dello scoop.

E’ la memoria che ci  sospende al di sopra della casualità nella quale ci troviamo, e ci  proietta in una dimensione spaziale e temporale senza confini, in un legame con il passato che ci arricchisce della vita di mille altre esistenze ed occasioni, ed in questo senso, secondo Proust,  si  può vincere la perenne lotta con la morte.

Un’ideale storia, quella della Recerche, che contribuisce appunto ad allontanare l’incombenza della morte.

La vera morte è l’oblio, lo scivolare nel buio della notte del tempo.

 

NICOLA LO BIANCO

 

 


 Roberto Maggiani - 11/07/2011 15:42:00 [ leggi altri commenti di Roberto Maggiani » ]

Grazie Nicola per questa bella riflessione.

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