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Un ritratto della sofferenza

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Il malinteso della vita, per quanto essa possa essere concertata fra spazi immensi ed infinite emozioni, sempre ci schiaccerà: tutti la chiamano comunemente sofferenza; basterebbe un ritratto, una semplice palinodia, per dimostrare come ciò che si sente, come ciò che si compenetra momentaneamente con la nostra esistenza, sia un’effimera vanità, quasi una nullaggine estrema. L’idea d’allietarsi s’un lido, coricandosi sulla rena cocente, e con il caldo che lieto affiora dalle profondità della terra sino alla nostra pelle, è un momento, un misero istante: la bruma che risale i colli nel primo mattino e che, verso il meriggio vernale, si dirada per divenire una verzura tranquilla e lieta, circonfusa da piccoli fiori dei più dolci colori, è un gioco perverso della nostra mente. 

Ogni cosa segue un corso atrocemente stupendo ma la differenza che intercorre fra la vita, fra quella che s’intende come tale poiché vissuta, e la gioia d’essa è sostanziale: joie de vivre, no?

Una misera idea, un pensiero - anzi, un ripensamento -, ci deteriora sino all’estrema soglia dell’annullamento: la differenza, quindi, fra la prima e la seconda è esigua ed indistinguibile.

Non capiamo ancora che siamo tutti anime schiave d’un mondo che non percepiamo come nostro: si contempla il mistero della vita attraverso l’utilitarismo del possibile, come se la bramosia movesse le nostre stesse mani - come se non esistesse una volontà individuale e sincera - e ci spingesse verso quel limite invalicabile, quell’atto implume ma candido, dell’usurpazione eterna della vita stessa. 

 

©Matteo Bona, ogni violazione della proprietà intellettuale verrà perseguita legalmente.

 Ivan Pozzoni - 30/12/2017 01:16:00 [ leggi altri commenti di Ivan Pozzoni » ]

La tua modalità di scrittura mi incuriosisce

 Arcangelo Galante - 13/10/2017 11:52:00 [ leggi altri commenti di Arcangelo Galante » ]

Pubblicazione stupenda, in quanto, proprio nel suo essere melanconica, risiede l’essere sublime del toccante e veritiero contenuto. I perché, analizzati dall’autore, sono tanti e non si riesce mai ad avere una risposta soddisfacente, capace di giustificarne, persino, la loro esistenza. Le motivazioni a ogni quesito esistenziale andrebbero quasi spesso ricercate dentro di sé, nonostante la scoperta infelice, mossa da un "perché", il quale, inevitabilmente potrebbe essere la causa di un involontario dolore, anche immeritato. Del resto, la vita e lo scopo dell’esistenza umana, talvolta sfuggono alla logica, facendo precipitare il cuore negli abissi di un incisivo sconforto. Non esiste un solo perché, oppure, forse, non ne comprendiamo, subito e mai, la ragione scatenante dell’incedere dubbioso d’ogni domanda su cui lo spirito tenta di riflettervi. Chi potrà, giammai rispondere a ciò che affligge un dolce e sensibile cuore a cui, meditando dinanzi “al ritratto della sofferenza", tante incertezze provocano? Considerazioni fortemente degne di elogi e meritevoli attenzioni. Complimenti, per la profondità degli argomenti trattati nelle pubblicazioni. Con ammirazione, saluto!

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