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La prefazione mancata

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Non sono certo che Matteo Bona sia del tutto umano. 

Il che, di questi tempi, potrebbe essere un vantaggio.

Direi che, se lo portassimo a contatto con il monolito nero di 2001 – Odissea nello Spazio, entrerebbe in risonanza con esso. 

Posso visualizzare piuttosto nitidamente il lampo di luce e le vibrazioni sonore che ne scaturirebbero.

Non chiedetemi come trovare tale manufatto; non sono uno scienziato. Ma in quanto creatura dell'immaginazione, di un'immaginazione tanto forte da scolpirsi in modo indelebile nelle menti delle persone – partorito, non senza dolore, da mente di genio – sono certo che il Monolito esista da qualche parte, in qualche forma, vivo e vitale quanto e più di molti di noi. 

Neil Gaiman, di sicuro, approverebbe. E poiché, proprio nel momento in cui scrivo, da poche ore su un noto portale di streaming è disponibile anche per il pubblico italiano il pilota della serie tv American Gods – da un romanzo di Gaiman, inerente la persistenza delle divinità create da mente umana a prescindere, e in conflitto, con l'Umanità stessa – potrei vantarmi, quella stessa risonanza, di essere intento a cavalcarla proprio in questo momento.

È una questione di materia che si trasforma in energia, dopotutto. Materia, energia, e un temporale notturno che, (im)provvidamente, mi priva della connessione a Internet proprio nella mattina post-festiva in cui più avrei da lavorare. Così mi ritaglio il tempo di scrivere questa prefazione. Insieme, nell'angolo della mente, alla certezza che nessun comune essere umano possa scatenare cotanta sincronicità in unico accadimento. Se ancora vi domandate perché penso che il giovin Matteo non sia del tutto umano, ammettetelo: fin qui, eravate distratti.

La materia degli scritti dell'autore del libro che tenete tra le mani non mi ha colpito. Rovescio: mi ha non-colpito, per assenza di “massa”, cioè “peso”, ovverosia “pesantume” al di là della scelta di vocabolario senza dubbio barocca. Ma una corretta cronologia dei miei personali incontri ravvicinati con l'autore che state per leggere ora, è necessaria; quantomeno per (non) perdere il filo, e darmi modo di far sfoggio di particolareggiate conoscenze in tematiche risibili.

Per chi raccoglie e cataloga gli avvistamenti di oggetti volanti non identificati (UFO), l'incontro ravvicinato del primo tipo consiste nel notare strane luci, in lontananza. Quindi, nel mio caso, si tratterebbe della telefonata del direttore del giornale per cui lavoro, che mi chiese tempo fa di recensire il libro Anche la creazione muore – Oltre la poesia di Matteo Bona. Una raccolta di liriche e brevi testi, alcuni dei quali premiati da importanti riconoscimenti nazionali.

L'incontro ravvicinato di secondo tipo è stato con l'Opera medesima. Per quanto riguarda gli UFO, si cataloga in questo modo il reperimento di tracce fisiche lasciate dai suddetti oggetti volanti non identificati. Un esempio per tutti, i famigerati “cerchi nel grano”.

Dicono che chi si inoltra tra le spighe innaturalmente piegate, avverta una strana forma di energia, non ben definibile, sicuramente aliena.

A leggere la prima volta gli scritti di Matteo, avrei potuto essere colpito dalla materia. Termini aulici, attenzione certosina alla costruzione lirica, un occhio consapevole nel collocarsi nella grammatica canonizzata della poesia internazionale. Ma sono felice di essere stato non-colpito. E di aver saputo cogliere, al di là della materia, una notevole energia.

C'era la voluta cripticità di alcuni passaggi, la lingua arcaica, per selezionare a monte (Matteo dixit) i possibili destinatari. Ossa titaniche di dinosauri immensi ricoperte di polvere, faticose a prima vista, eppure con la sorprendente capacità di emanare piccoli bagliori nel buio. Infinitesimi segnali di vita da un catafalco affascinante quanto ostico, una costruzione monumentale, stoica, marmorea, difficile ma imprescindibile.

Se posso permettermi di esprimere un giudizio, sono felice che quella titanica magione fosse solo un punto di partenza. Si esce di casa, prima o poi, per osservare il mondo. E se c'è una cosa di cui sono ragionevolmente certo, è che Matteo sia, in queste stesse ore, in questi stessi minuti, impegnato a cercare. Meglio: rovistare.

Le opere contenute nel libro che state per leggere contengono la suddetta energia e vibrazione. 

Ma l'architetto si è fatto più abile, sa distinguere meglio i materiali da costruzione, comprende che la comunicazione è (anche) avvicinarsi al destinatario. Non è un obbligo; ma non provarci è tragico segno di immaturità creativa.

Matteo Bona, per fortuna, non è del tutto umano. E dopo questo libro andrà oltre, come gli auguriamo. C'è stato, se proprio siete curiosi, un incontro ravvicinato del terzo tipo, davanti a un caffè, in un bar. Quello che ho capito, e che l'autore di quest'opera crede fermamente, è che l'opera deve venire prima dell'autore.

In un tempo in cui la cultura insegue i personaggi, prima che le opere, ben venga un giovane poeta che, alla performance (interprete) preferisce la semplice creazione artistica (compositore). Persone più competenti di me dicono che la musica italiana ha perso smalto nel momento in cui tutti i cantanti hanno dovuto essere anche cant-autori; meglio, dunque, l'originaria distinzione tra i rispettivi ruoli.

Dell'incontro di persona tra l'autore di questa prefazione e l'autore del libro che state leggendo, perciò taccio con fermezza.

E lascio subito spazio alle sue parole.

 

 

Fulvio Gatti

 

Dall'opera "Il senso del nulla", ©Matteo Bona & ©Fulvio Gatti, ©Montedit Editore: prefazione non usata per l'opera.

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