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Dall’immagine tesa
vigilo l’istante
con imminenza di attesa –
e non aspetto nessuno:
nell’ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono –
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno.
Ma deve venire,
verrà, se resisto
a sbocciare non visto,
verrà d’improvviso,
quando meno l’avverto.
Verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.

 


[ da Canti anonimi, Il Convegno editoriale, Milano 1922 ]

 

 Salvatore Armando Santoro - 17/06/2018 00:57:00 [ leggi altri commenti di Salvatore Armando Santoro » ]

Ci sono poesie migliori di questa di Clemente Rebora.
Certi virtuosismi (polline di suono) non mi piacciono per nulla.
Povero Clemente la sua vita è stata travagliata e lo capisco.
Péccato che anche lui lo ricordino da morto!

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