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al testo proposto da Giuliano Brenna
Il brodo secondo Escoffier
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Non c’è stato re o imperatore, fra i pochi rimasti tra gli ultimi anni dell'800 e i primi del '900, che non abbia mangiato alla sua tavola al Ritz di Parigi o al Savoy di Londra, qualcuno, come Guglielmo II di Prussia che andava persino a discutere con lui i dettagli del pranzo nella sua avveniristica cucina. E qualche volta le conversazioni sconfinavano nella politica. Terribili in quegli anni della guerra franco-prussiana. Di tutti Auguste Escoffier conosceva i gusti e i piaceri della tavola: Léon Gambetta, per esempio, amava l’agnello servito con un Chateau Palmer 1864 mentre Guglielmo II impazziva per la sua mousse d’écrevisses. Qualche volta il grande cuoco usava intitolare i piatti a qualche suo celebre avventore; ma, diceva, è un’arte difficile che deve raccontare verità impossibili mettendo allo scoperto i sentimenti intimi dello chef per il destinatario del piatto e questo non sempre va bene. A Emile Zola aveva dedicato una poularde farcita di ortolani e accompagnata con foie gras; a Sarah Bernhardt, il grande amore della sua vita, ricambiato, pur nel turbinio della sua vita burrascosa, serviva spesso dei tagliolini conditi con foie gras di anatre nutrite a lamponi selvatici. Vedete bene, era allora una cucina senza fretta! Lui e la divina Sarah si erano conosciuti nel 1874 e con lei divise la passione per il cibo e la pittura impressionista che aveva scandalizzato Parigi in quello scorcio di secolo. Insieme visitavano i Salons sorridendo degli anatemi lanciati dagli sprovveduti visitatori contro gli artisti considerati imbrattatele di un mondo degradato. La cucina e l’amore di Escoffier accompagneranno la grande artista fino alla sua morte. Non è la ricetta che conta – usava ripetere – ma l’anima e il cuore che vi si applica. Senza amore nessun brodo riuscirà perfetto. Il brodo, sì, quello che lui chiamava il fondamento della civiltà! Lui lo preparava in due mosse: la prima con carni di vitello, stinco, carote e chiodi di garofano; poi, al tutto filtrato aggiungeva la seconda mossa: altra carne, altri odori, un pezzettino di rapa e lunghe cotture per entrambi. Preparazione laboriosa? Si, ma se proviamo a farla in due tempi lasciando sobbollire la delizia mentre ci facciamo addormentare dai dibattiti in TV, il giorno dopo potremmo avere una straordinaria base nella quale cuocere persino un’anonima, borghese e semplice pastina! Oretta Zanini de Vita da www.storiedicucina.it
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