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al testo di Ivan Pozzoni
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L’abbiamo tutti chiaro, un cieco non sa spegnere la luce, tutti i ciechi del mondo non sanno spegnere la luce dell’arte, e, se anche fallisse ogni azienda elettrica, l’arte continuerebbe a brillare, rabbuiando i conti del supercapitalismo nomade.
L’abbiamo tutti chiaro, un cieco non sa spegnere la luce, e, quando saremo incasellati nell’archivio di un cimitero, o, magari, nella comunità solidale di una fossa comune, il buio non smetterà di scintillare, anche con la semplice forza d’un lumino rosso bagnato dal vento e rattrappito dalla pioggia.
L’abbiamo tutti chiaro, un cieco non sa spegnere la luce, anche quando saremo chiusi nel buio di un’urna o di una bara, uccisi dalla recessione, dal cancro, da un colpo di stato, da un colpo apoplettico l’artigiano non smetterà mai di battere sui tasti o di comunicare con microchips inseriti nel cervello, erede del sumero, dell’ittita, o del lineare B, non smetterà mai di darsi fuoco, accendendosi, contro la cecità di un mondo abitudinario.
Quando Odino comanderà di farmi da parte, in modo scorbutico, essendo una divinità teutonica, avrò la soddisfazione di non aver contribuito a fare fallire l’azienda elettrica nazionale.
[Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni, 2015] |
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