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al testo di Addolorata Esposito
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Occhi di gatto
Entrò nella mia vita come un temporale dalla finestra socchiusa. Lo guardai sprezzante: ondeggiava con la sciarpa di mia nonna, ispida e piena di nodi, sul parquet polveroso e sconnesso. Che strano, è entrato nella mia vita da una finestra con gli occhi che parevano fuoco lampeggiante senza chiedere permesso, e si è preso in af- fitto la mia intimita’. Questo gatto nero ordisce il mio stesso filato ma non può parlare. Io ne spreco tante : gomitoli di parole. Lo guardo come fosse una sfinge, abbandonata sulla sedia a dondolo, in fondo al corridoio. In penombra, lo guardo. Nello stesso recinto maciniamo le ore del giorno : io anima , lui corpo. Lui gioca con i miei gomitoli. Li rincorre, li mordicchia. Lascio sciogliere le idee che rotolano in silenzio sul parquet, in attesa di un nuovo temporale. E mi addormento. Lui approfitta del mio non essere e si adagia , premendo ostinato sul ventre . Partorisco sensazioni amare e dolenti . Gocce di pioggia scorrono sul mio volto. Apro gli occhi e lo cerco con lo sguardo : sparito. Lo sconforto scivola nelle mie vene. Dall’angolo della porta spunta il tacco di una scarpa : le mie décolleté viola!. Le infilo ed esco in vestaglia. Calpesto il sentiero di terra rossa e mi guardo : sono buffa in vestaglia con le décolleté. “ Sono vestita di novità." mi sussurro. Ma cos’è questo solletico ai piedi, che sale verso le gambe, fascia le cosce, invade l’inguine ? È lui , è ritornato e si fa sentire! L’osservo piena di dubbi e mi accorgo che non ha la coda. Un gatto senza coda? Dove sarà finita in una trappola per volpi o è stata tranciata in una lotta tra antagonisti ? Pensierosa vagabondo nel vicino e affollato mercato delle spezie. Quando dalla tasca quadrettata della vestaglia, spunta come un serpentello ubriaco la coda del gatto. Impertinente mi bisbiglia: “Non voglio piu’ essere il solito animale , voglio diventar farfalla! “ E ripetendo a mo’ di cantilena la frase rivelatrice si mimetizza nei cesti di coriandolo. Frastornata riprendo a piedi scalzi la via di casa, mi soffocano le decolletè , e pesto le foglie di platano appassite. Ripercorro il viottolo familiare, dove dimora il timo selvatico e accompagnata dal suo odore penetrante ed insistente, spingo a fatica l’uscio di castagno. Nell’oscurità come una sonnambula cerco a tastoni la sedia a dondolo e sul vimini invecchiato mi distendo, in attesa della notte riparatrice. Il respiro, caldo e sottile, lentamente come l’alta marea nelle sere afose di fine agosto ricopre sabbie sfinite dal tramestio di bagnanti frenetici, si impossessa delle mie membra.
“ Rami copiosi su ruvide cortecce , ritagliano volti ramati tra rivoli di resina, al riposar del sole. E tra le rovine dell’ anima , con affanno il respiro ritrova la via ruminando il passato. Resta ramaglia ad ogni intimo rintocco. Scrivo e mi conosco , vago fra trasparenze di immagini intrecciate, lungo il fiume dell’incontro con me stessa. Le parole scivolano sull'acqua ed in silenzio tornano a me. Sulla pietra liscia costellazioni di segni mi narrano. Scrivo con una mano sul tronco di un immaginario albero e gli occhi sulle radici, come se volessi concentrarmi là dove tutto nasce e si rinnova. La linfa pulsante mi suggerisce di non essere impaziente e di ascoltare le inquietudini del cuore. Scrivo e respiro , con le minute parole registro note sul rigo vuoto di uno spartito dimenticato ed il rumore dei pensieri si trasforma in melodia." Scrivo di getto queste righe e, ad un tratto, una luce fissa e pungente attira il mio sguardo insonnolito. Apro gli occhi : i gomitoli di lana mi osservano ironici con pupille di gatto.
Racconto classificato al 2° posto del premio Internazionale "Antica Pyrgos", sez. Racconti , Lanuvio (Roma) 18 ottobre 2020
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