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Occhi di gatto

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Occhi di gatto

 

Entrò nella mia vita come  un  temporale  dalla finestra socchiusa. Lo guardai sprezzante: ondeggiava con la sciarpa di mia nonna, ispida e piena

di nodi, sul parquet polveroso e sconnesso.

Che strano,  è entrato nella mia vita da una finestra  con gli occhi che  parevano fuoco lampeggiante senza chiedere permesso, e si è preso in af-

fitto la mia intimita’. 

Questo gatto nero ordisce  il mio stesso filato ma non può parlare.

Io ne spreco tante : gomitoli di parole.

Lo guardo come fosse  una sfinge,  abbandonata sulla sedia a dondolo, in fondo al corridoio. In  penombra,  lo guardo.

Nello stesso recinto maciniamo le ore  del  giorno : io anima , lui corpo.

Lui  gioca con i miei gomitoli.  Li rincorre, li mordicchia.

 Lascio sciogliere le idee che rotolano in silenzio sul parquet, in attesa di un nuovo temporale.  E mi addormento. 

Lui  approfitta  del  mio  non  essere  e  si  adagia , premendo ostinato sul ventre .

Partorisco   sensazioni   amare   e  dolenti . Gocce di pioggia scorrono sul mio volto. Apro gli occhi e   lo  cerco  con  lo  sguardo : sparito.

 Lo sconforto scivola nelle mie vene.

Dall’angolo della porta spunta  il  tacco di  una  scarpa : le mie décolleté viola!. Le infilo ed esco in vestaglia. Calpesto il sentiero di terra rossa e mi

guardo : sono buffa in vestaglia con le décolleté. “  Sono  vestita di novità." mi sussurro.

 Ma cos’è questo solletico ai piedi, che sale verso le gambe, fascia  le  cosce,   invade l’inguine ?

È lui ,  è  ritornato e si fa sentire!

L’osservo  piena di dubbi e mi accorgo che non ha la coda. Un gatto senza coda? Dove  sarà  finita in una trappola per volpi  o  è  stata tranciata 

 in una lotta tra antagonisti ?

Pensierosa vagabondo nel vicino e affollato mercato delle spezie. Quando dalla tasca quadrettata della  vestaglia, spunta come un serpentello ubriaco

 la coda del gatto.

Impertinente mi bisbiglia: “Non voglio piu’  essere  il solito animale , voglio diventar farfalla! “

  E ripetendo a mo’  di  cantilena la frase rivelatrice si mimetizza  nei cesti di coriandolo.

Frastornata   riprendo  a piedi scalzi  la via di casa,  mi soffocano le decolletè , e pesto le foglie di platano appassite.

Ripercorro il viottolo familiare, dove dimora il timo selvatico e accompagnata dal suo odore penetrante  ed insistente, spingo a fatica l’uscio di castagno.

Nell’oscurità come  una  sonnambula  cerco a tastoni la sedia a dondolo e sul  vimini invecchiato mi distendo, in attesa della notte riparatrice.

Il respiro, caldo e sottile, lentamente  come l’alta marea nelle sere afose di fine  agosto  ricopre sabbie  sfinite  dal tramestio di bagnanti frenetici,  si impossessa delle mie membra.

 

Rami  copiosi su ruvide cortecce , ritagliano volti ramati tra rivoli di resina, al riposar del sole.

E tra le rovine  dell’ anima , con affanno il respiro ritrova la via  ruminando il passato.

Resta ramaglia ad ogni intimo rintocco.

Scrivo e mi  conosco , vago fra trasparenze di immagini intrecciate, lungo il fiume dell’incontro con me stessa. Le parole scivolano sull'acqua ed in silenzio tornano a me.

 Sulla pietra liscia costellazioni di segni mi narrano.

Scrivo con una mano sul tronco di un immaginario albero  e gli occhi sulle radici, come se volessi concentrarmi là dove tutto nasce e si rinnova.

 La linfa pulsante mi suggerisce di non essere  impaziente e di ascoltare le inquietudini del cuore.

Scrivo e  respiro , con le minute parole registro note sul rigo vuoto di uno spartito dimenticato ed il rumore dei pensieri si trasforma in melodia."

 Scrivo di getto queste righe e, ad un tratto,  una  luce fissa e pungente attira il mio sguardo insonnolito. Apro gli occhi : i gomitoli di lana mi osservano ironici con pupille di gatto.

 

 

 Racconto classificato al 2° posto del premio Internazionale "Antica 

Pyrgos", sez. Racconti , Lanuvio (Roma) 18 ottobre 2020 

 

 

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