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Guancia (frammento)

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«Posso aggrapparmi? – chiede – Perché sei alto, e dunque non ti abbraccio... mi aggrappo». Sorride compiaciuta della sua trovata dialettica. Lascia mollemente aderire la guancia al mio braccio sinistro, che ghermisce con entrambe le mani. Camminiamo senza fretta, il cielo è terso e stellato. Indosso strati di vestiario per proteggermi dal freddo ma mi sembra di sentire il suo viso lunare abbandonato sulla mia pelle. Stagioni, lacrime, io, lei, la città, il tempo: tutto si scioglie in puro appagamento perlaceo.

Era prevedibile: niente di quel che avvenne in seguito riuscì ad eguagliare quella passeggiata, anzi fu un repentino allontanarsi, guizzo di bestia braccata. Qualcosa che merita la cimosa, che dovrebbe scomparire e invece ancora persiste batterico in qualche piega della memoria ribellandosi alla necessità della propria morte, della sola sopravvivenza di quel volto appena conosciuto e già lievemente posato su di me. Qualcosa che incarognisce, imputridisce: ogni parola nacque già superflua, sbagliata, avvolta dal vetro dell’incomprensione con la stessa logica con cui, prima, scaturiva ispirata giusta e rapida.

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(inedito)

 Loredana Savelli - 10/01/2010 08:31:00 [ leggi altri commenti di Loredana Savelli » ]

"Qualcosa che persiste batterico nelle pieghe della memoria" rende perfettamente l’idea di una "fisiologia/patologia" della memoria stessa, un che di naturale, anche bestiale, che ci appartiene. Forse dobbiamo soltanto guardarlo vivere.

 Maria Musik - 06/01/2010 17:55:00 [ leggi altri commenti di Maria Musik » ]

Bello questo frammento, veramente bello.

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