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al testo di Rita Stanzione
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e un’altra scia di curiosi con l’espressione del nibbio in un’isola gelida e spoglia solo il mio corpo al centro a terra sotto nuvole schiacciate la fotografia come quelle del Faust di Sokurov insensata e anamorfica. La bocca che bacia il pavé una carezza estrema e la palude che ottunde la ragione. Ci pensavo dai tempi delle medie a quanto può essere sinestetica e ampia la stanza dell’annullamento, da quando ci rincorrevano i cani che nel contesto impersonavano il male. E avrebbero perso. Una metà del campo è nel buio, l’altra mi sopravvive -come le mani di aceto che mi lavano i fianchi lasciando odore di armadi messi a nuovo. Era amorevole il tempo delle madri senza condizioni. E nessuno più. Ora, è lecito che la finestra sia rimasta a guardarmi senz’ali, mi chiedo. Poteva concludersi vento e spettinare polveri riempire il deserto di nuovi patti di linfa intanto porre un limite di catenacci. Ma è fatto. La soglia mi fa memoria d’altro e sto bene nell’indeterminata bocca del silenzio cadenza di novembre dal corpo di una gemella sottile dove rifugio la parte più bella di me tirata per i polsi ma poco ostinata a non venire.
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