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Era partita. Aveva lasciato
affiorare dalla terra il silenzio
la pietra dove lasciare cadere
le parole e la luce
dei giorni sospesi nella veglia
fino al suo ritorno. Gurdavano
le mani il giungere del vuoto
e ogni notte le dita
sgranavano il rosario dell'attesa
con una corona di battiti
quasi simili ad un sordo lamento
d'un marmo senza nome. Veniva
con l'aria di lontano l'eco d'un tempo
tormentato nelle sue ore, un lungo
cammino tra due distanze, un angelo
di tristezza che annunciava la gioia
come l'aurora il preludio dell'alba
nei propri timidi chiarori di luce
tra le pieghe più oscure della notte.
Era partita dal mio respiro e la vita
serrava le labbra con una muta preghiera,
un dolore stupito dalla mancanza, il vuoto
scavava solchi nella pelle, il ventre
gemeva l'attesa in una gravidanza di ore,
i giorni e le notti affidati agli occhi
scrutanti nella pieghe di righe d'inchiostro
oracoli che leggessero il suo ritorno.
Ed ora lei è qui, ne odo di nuovo la voce,
soffia la sua bocca sul mio giacere
tra le gravide masse della terra e rinasco
al canto luminoso della sua lingua.


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