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Da Minturnae a Traetto: cenni di storia minturnese.

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         Quando si affacciò alla storia la Minturno ausone doveva occupare probabilmente la stessa posizione di oggi e costituiva con Vescia, Ausona, Suessa e Sinuessa, la pentapoli aurunca, una confederazione politico-militare alleata ai Sanniti che provò ad opporsi alle mire espansionistiche di Roma verso l'area delle coste campane.

La sconfitta subita dai Sanniti a Terracina (314 a.C.) segnò anche il destino della pentapoli: le città furono occupate e rase al suolo e, come annota lo storico romano Tito Livio nella sua opera, la gente ausone fu cancellata.

Fu l’inizio dei lavori della via Appia nel 312 a.C. ad opera di Appio Claudio l’evento che fece risorgere Minturnae.

L’Appia, che avrebbe collegato Roma a Capua, nella nostra zona scendeva da Formia lungo la costa, attraversava il fiume Garigliano all'altezza della foce e deviava verso l'interno collegandosi a Suessa (l'attuale Sessa Aurunca) dove nel 313 a.C. era già stata trasferita una colonia romana.

 Accanto al ponte che attraversava il fiume, sulla riva destra, sorse il primo insediamento romano su schema rigidamente quadrato innervato da un nuovo trasferimento di popolazione nel 296 a.C. quando i romani fondarono le colonie di Minturnae e Sinuessa (l'attuale Mondragone) e l'Appia fu deviata lungo la costa per raggiungere questa nuova colonia  e l'Ager Falernus costeggiando i pendii meridionali del monte Massico: un percorso che avrebbe tenuto fino a tutta l'età imperiale.

I successivi trasferimenti di popolazione, prima con Cesare e poi con Augusto, fecero crescere la città di Minturnae.

Attraversata dalla via Appia che ne costituiva il decumano massimo su cui si affacciavano templi e foro, servita da un acquedotto, dotata di teatro e di terme, la città divenne fiorente, punto di approdo del commercio marittimo non solo locale.

Lo confermano sia i resti di rilevanti strutture portuali, di cantieri navali e magazzini dove i battellieri (navicularii) accatastavano le merci in arrivo e in partenza, sia la presenza - secondo quanto attestano alcune epigrafi - di un conductor portus Lirensis (un responsabile della gestione del porto) e di un Q.Caelius architectus navalis. Anche Ulpiano,  in un passo della sua opera, parla delle responsabilità del primo armatore costretto dalle difficoltà dovute all'insabbiamento della foce a trasbordare la merce su un’altra nave se quest'ultima fosse affondata.

Una città, quindi, che fu snodo commerciale fondamentale se nell'elenco delle città mercato e dei prodotti tipici Catone annota nel suo De Agri Cultura che acquistava gli arnesi in ferro, falci, zappe, scuri e vomeri a  Minturnae, a Cales (Calvi) e a Suessa, le macine di lava per le olive a Pompei e a Suessa, gli oggetti in rame e in bronzo, i recipienti per l'olio, l'acqua, il vino e altri utensili in bronzo a Capua e Nola e se Diodoro (V,13) riferisce che il minerale ferroso estratto nell'isola d'Elba non era più lavorato in Etruria, ma trasportato via mare a Puteoli (l'odierna Pozzuoli) e di qui portato nelle città vicine, specialmente a Cales e Minturnae che avevano officine che producevano attrezzi agricoli ampiamente impiegati nelle campagne romane.

Grazie alla grande abbondanza di legname in luoghi vicini alle officine e all'eccellente rete stradale e portuale le città della zona svilupparono l'industria del ferro che produceva sufficientemente per i bisogni interni e per l'esportazione, affiancata da altre industrie (profumeria, argenteria, gioielleria e mobilio) che non interessavano Catone (tanto che non ne parla) ma di cui riferiscono fonti posteriori.

Nell'età repubblicana ed imperiale Minturnae era quindi ben inserita nel circuito produttivo dell'area campana, vero centro industriale del tempo, e restò nodo stradale e commerciale essenziale sull'asse nord-sud: anche la Tabula Peutingeriana (II-IV sec) ne faceva il punto di transito obbligato per i collegamenti di lunga percorrenza, crocevia per gli itinerari sia verso Suessa che verso Sinuessa, ma anche verso l'interno attraverso la via delle Acquae Vescinae e la via Herculanea che si collegavano alla via Latina per Ausona e Casinum.

Se alla testimonianza di Cicerone (in una lettera ad Attico del 44 a.C. scrive di aver attraversato il pons Tirenus a Minturnae e svoltato verso la via Herculanea per raggiungere la sua casa di Arpino) aggiungiamo quella di Plinio che parla della colonia di Minturnae attraversata dal Liri (Liri amne divisa) e la rappresentazione che ne fa in un disegno Igino Gromatico, abbiamo l'idea di una città in espansione, cresciuta su entrambe le rive del fiume e forse sui declivi del colle vicino in seguito alle nuove assegnazioni di terre ai veterani.

A partire dal VI secolo carte e itinerari di età alto medievale indicano ancora Menturnis come scalo della via Appia, ma la mettono in contatto con Suessa e non più con Sinuessa confermando un ritorno all'antico tracciato, probabilmente a causa dell'impaludamento di consistenti tratti di strada oltre il Garigliano e dello sprofondamento in mare di parte di Sinuessa dovuto a fenomeni di bradisismo. Ma l'impaludamento nell'alto Medio Evo colpì non solo la nostra piana ma anche  quella pontina dando maggiore importanza alla via Latina,l'altro fondamentale itinerario nord-sud a cui comunque Minturnae era ben collegata.

            Forse fu questo lento processo di impaludamento più delle incursioni di Goti, Vandali e Longobardi a spopolare la piana: gli acquitrini a destra e a sinistra del Garigliano, coincidenti con le Paludi Minturnesi dove si rifugiò Mario perseguitato da Silla prima di imbarcarsi per L'Africa su una nave fornita dai Minturnesi, rendevano Minturnae una città dall'aria pesante e poco salubre (Ovidio parla di Minturnae graves e Strabone accenna a un aere crasso da cui era colpita la città). Probabilmente sono anche questi i motivi che spiegano le difficoltà incontrate a suo tempo dall'amministrazione romana a trasferire in quest'area la colonia del 296 a.C.

La presenza della zanzara anofele e le conseguenti febbri malariche costrinsero gli abitanti ad abitare in aree meno rischiose dove, costretti sui monti, disboscarono nuovi declivi per assoggettarli alla coltivazione aggravandone il dissesto idraulico: aumentarono alluvioni e frane cui seguì un ulteriore impaludamento della piana e l'allontanamento della popolazione residua. Un contributo non certo secondario dovettero fornirlo gli straripamenti del Garigliano e dell'Ausente nel periodo delle piene autunnali per la difficoltà del fiume a smaltire l'acqua a causa dell'insabbiamento della foce, soprattutto in condizione di mare agitato.

La forte diminuzione di popolazione che colpì Minturnae portò alla soppressione del suo vescovado e all'aggregazione della chiesa locale a quella di Formia su decisione del papa Gregorio Magno nel 590 d.C.

Intanto, tra il VII e il IX secolo, la popolazione rifugiatasi sul colle costruiva Traetto con i materiali dell'antica Minturnae.

In questo periodo avaro di informazioni le uniche ci provengono dal Codex Diplomaticus Cajetanus che riferendosi a quel vasto territorio che si estendeva dal fiume al castrum di Maranola e a quello di Fratte e che si apprestava a prendere l'eredità di Minturnae parla di un Patrimonium Trajectanum governato da un Rector di nomina papale.

Con la costruzione di Castro Leopoli la nuova comunità tornò ad essere sede vescovile mentre della città romana ormai deserta non restava che il nome destinato a scomparire anch'esso: nell'839 era vescovo un tale Leone, sanctus episcopus sante menturnensibus cibitati Kastri Leopoli.

Costruito forse da papa Leone III, di cui porta il nome,Castro Leopoli doveva comprendere il castello e l'attuale agglomerato di Portanova mentre il nucleo originario di Traetto doveva limitarsi all'attuale rione Cappella. Inglobato da Traetto non avremo più notizie di Castro Leopoli né del vescovado di Minturnae che, dopo la presenza di 4 vescovi tra l'830 e il l000, scomparve di nuovo tanto da  non essere nominato neanche nel Placitum Castri Argenti nel 1014 dove il vescovo sarebbe dovuto esser presente (se fosse stata operante la sede vescovile) sia per l'importanza dell'evento che per la presenza di tutte le autorità: segno di una nuova soppressione del vescovado.

Ma siamo già sulla strada di Traetto: una pergamena dell'830 nomina già un petro de Traietto.

L'origine del nuovo nome assunto dalla città, nonostante le controverse opinioni degli studiosi, ha sicuramente a che fare col fiume e con il suo attraversamento: caduto in rovina il ponte romano, il luogo di attraversamento con la barca prese il nome di Traiectus, Traiecto flumine era il Garigliano  nell'ultima parte del suo corso, Traiectanum era tutto il territorio circostante e civitas Traiecti era la città sul fiume abitata dai discendenti degli antichi Minturnesi.

Comunque stiano le cose è indubbio che Traetto vada considerata naturale continuazione di Minturnae come testimoniano le parole Heredes Minturnarum incise sui marmi riproducenti l'arme della città.

 

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